E’ morto a
95 anni Michel Bacos, il comandante
francese del volo 139 dell’Air France dirottato nel 1976 ad Entebbe (Uganda) in
un attentato del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp). Lo
ha annunciato su twitter Dani Dayan, Console generale di Israele a New York,
titolando “morte di un eroe”. Bacos “si rifiutò – ha ricordato Dayan
– di lasciare i passeggeri ebrei del volo” e restò con loro fino a quando
furono salvati da una memorabile impresa di un commando dell’esercito israeliano
guidato da Yonatan Netanyahu – fratello dell’attuale premier Benyamin Netanyahu
– che restò ucciso. “Ti salutiamo
capitano”, ha scritto Dayan.
La storia
del dirottamento del volo 139 dell’Air France ebbe inizio alle 12.30 del 27
giugno 1976, quando l’aereo Airbus A300, proveniente da Tel Aviv, decollò
dall’aeroporto di Atene diretto a Parigi, con a bordo 248 passeggeri e 12
membri dell’equipaggio. Poco dopo la partenza, il volo venne dirottato da
quattro terroristi. I dirottatori, due palestinesi appartenenti al Fronte
Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e due tedeschi aderenti alle
Revolutionäre Zellen, ordinarono al pilota di far rotta su Bengasi, in Libia.
Qui l’aereo rimase a terra per sette ore, durante le quali fu effettuato il
rifornimento; una donna, poiché finse di aver avuto un aborto spontaneo, venne
liberata e lasciata tornare in Inghilterra.
In seguito
l’Airbus venne fatto decollare dalla città libica per dirigersi verso Entebbe,
in Uganda, dove atterrò alle 03:15 del 28 giugno. Il commando, infatti, fu
appoggiato dal governo del dittatore ugandese Idi Amin che simpatizzava per i
terroristi palestinesi. Ai dirottatori si aggiunsero altri quattro terroristi
che chiesero 5 milioni di dollari e la liberazione di 40 palestinesi detenuti
in Israele, oltre a quella di altri 13 che si trovavano nelle prigioni di
Kenya, Francia, Svizzera e Germania in cambio della restituzione degli ostaggi.
Il giorno seguente, 29 giugno 1976, i dirottatori fecerono una ‘selezione’ e in
base ai passaporti liberarono circa 140 passeggeridi diverse nazionalità,
trattenendo almeno 105 cittadini israeliani ed ebrei. Il capitano del volo,
Michel Bacos, decise che, dal momento che tutti i passeggeri erano sotto la sua
responsabilità, non ne avrebbe abbandonato alcuno e sarebbe rimasto con gli
ostaggi; tutto l’equipaggio fu solidale con il capitano, rifiutando di partire
con un altro aereo dell’Air France, giunto ad Entebbe per portare via gli
ostaggi liberati. Gli ostaggi rimasti furono rinchiusi nel vecchio terminal
dell’aeroporto.
Il governo
di Israele iniziò le trattative per il rilascio degli ostaggi, studiando al
contempo anche altre possibili soluzioni come un intervento di liberazione.
Dopo alcuni
giorni dedicati alla raccolta di informazioni ed alla preparazione, il 4 luglio
quattro aerei da trasporto C-130 Hercules dell’Aeronautica militare israeliana,
atterrarono di notte all’aeroporto di Entebbe, ovviamente senza l’aiuto della
torre di controllo. L’avvicinamento degli aerei fu fatto sfruttando le capacità
di volo a bassa quota unite alle capacità di atterraggio su brevi piste.
L’avvicinamento avvenne a fari di navigazione spenti e sfiorando la superficie
del lago Victoria. Un altro aereo militare israeliano, un jet attrezzato per il
pronto soccorso medico, atterrava nel frattempo all’aeroporto di Nairobi, in
Kenya, mentre un altro aereo attrezzato da centro di comando volante dirigeva
l’operazione. Il governo keniota, avversario del regime ugandese, aveva infatti
dato il suo appoggio all’operazione.
Furono impegnati
nell’operazione oltre cento soldati delle IDF (in gran parte elementi del
reparto speciale Sayeret Matkal) e, probabilmente, diversi agenti del Mossad.
Gli
israeliani atterrarono alle 23.00 circa, con i portelli di carico già
abbassati. Fu fatta scendere una Mercedes nera, con due Land Rover al seguito.
L’automobile e le Land Rover dovevano simulare la visita dello stesso presidente
Amin, per distrarre l’attenzione degli ugandesi e dei terroristi dai militari
che si stavano avvicinando al terminal. La Mercedes, originariamente di colore
bianco, apparteneva ad un civile israeliano ed era stata riverniciata di nero
per il raid, con il presupposto che sarebbe stata restituita al legittimo
proprietario, ignaro dell’uso al quale era destinata, con il colore originale.
Gli ugandesi
furono ingannati dal diversivo israeliano e lasciarono che il finto corteo
presidenziale si avvicinasse fino al terminal in cui erano rinchiusi i
passeggeri e l’equipaggio del volo 139. Gli israeliani scesero dai mezzi ed
irruppero nell’edificio, urlando agli ostaggi di stare giù.
Un soldato,
sempre in ebraico, chiese ai passeggeri dove fossero gli altri terroristi. Gli
ostaggi indicarono una porta, che gli israeliani sfondarono, lanciando varie
granate flash bang e lacrimogeni. Gli israeliani tornarono quindi agli aerei su
cui iniziarono a imbarcare gli ostaggi liberati.
Nel frattempo,
diversi militari ugandesi, appostati nella vecchia torre di controllo adiacente
al terminal, presero a sparare contro gli israeliani e gli ex ostaggi, in
procinto di salire sui C-130. Gli israeliani interruppero l’imbarco e risposero
immediatamente al fuoco con lanciarazzi, riuscendo quasi subito a neutralizzare
le forze ugandesi. Nel corso di quest’ultima sparatoria, due ostaggi furono
colpiti a morte, così come Yonatan Netanyahu, comandante israeliano sul campo e
fratello del futuro leader del Likud e primo ministro Benjamin Netanyahu. Prima
di decollare, un altro gruppo di incursori distrusse con esplosivo i caccia
ugandesi MiG-17 che si trovavano sulla pista, per impedire ogni tentativo di
inseguire gli Hercules, i quali, dopo una sosta tecnica a Nairobi, proseguirono
il volo verso l’aeroporto di Tel Aviv.
L’incursione
durò solo una trentina di minuti, durante i quali sei dirottatori vennero
uccisi. Dei 103 ostaggi, ne morirono tre, il primo ucciso per errore dagli
israeliani, gli altri due colpiti dagli ugandesi durante lo scontro a fuoco
prima dell’imbarco. Il tenente colonnello Netanyahu fu l’unico morto
israeliano, mentre altri cinque soldati rimasero feriti, uno dei quali, Sorin
Hershko, rimase invalido per le ferite riportate. Il numero delle perdite
ugandesi non è certo e varia secondo le fonti.
Una
passeggera settantacinquenne, Dora Bloch, durante il dirottamento si era
sentita male e, al momento dell’attacco, si trovava ricoverata all’ospedale di
Kampala. Nei giorni successivi il suo letto fu trovato vuoto e nessuno seppe
più nulla di lei fino al 1979, quando, caduto il regime di Amin a seguito della
guerra contro la Tanzania, vennero ritrovati i suoi resti. Nell’aprile del
1987, Henry Kyemba, all’epoca ministro della sanità ugandese, dichiarò alla
Commissione dei Diritti Umani dell’Uganda che la Bloch era stata prelevata dal
suo letto ed in seguito assassinata da due ufficiali dell’esercito che agirono
per ordine di Amin.