Una vita passata a insegnare, spiegare e raccontare senza remore. René Slotkin per anni era stato insegnate di educazione fisica in una scuola maschile ortodossa a New York, indossava spesso magliette a maniche corte, lasciando i numeri tatuati sul braccio visibili a chiunque, perché per lui era importante soprattutto educare alla memoria. La sua storia di sopravvivenza alla Shoah fu qualcosa di straordinario. Slotkin e sua sorella furono tra i soli 200 gemelli sopravvissuti alla macabra sperimentazione del tristemente noto medico nazista Josef Mengele ad Auschwitz, riuscendo a riunirsi sei anni dopo la loro separazione.
La storia di Slotkin, raccontata anche in un film sulla sua famiglia, è sempre stata nelle menti dei suoi correligionari della Congregation Ohab Zedek, la sinagoga dell’Upper West Side a un isolato da casa sua, luogo dove l’uomo ha studiato con dedizione il Talmud ogni mattina per quasi tutta la vita. “Trovo ancora incredibile come un uomo che vide così tanto orrore e morte non solo si sia aggrappato alla fede, ma lo abbia fatto con felicità e gratitudine” ha scritto venerdì Jonathan Field sul Jewish Link a proposito di Slotkin, morto domenica a 84 anni.
René era nato nel 1937 a Teplice-Sanov, Cecoslovacchia. Aveva solo 3 anni quando lui e sua sorella gemella Irene furono deportati a Theresienstadt con la madre Ita, nel 1941. Il padre Herbert, invece, fu deportato ad Auschwitz nel 1940, dove morì.
Due anni dopo, René e i suoi familiari furono trasferiti ad Auschwitz, dove la madre fu uccisa, mentre i gemelli furono separati e sottoposti a sperimentazioni scientifiche da Mengele. Dopo la liberazione dei campi di sterminio, René fu rimpatriato in Cecoslovacchia e visse con due famiglie adottive.
Irene, che inizialmente era stata collocata presso una famiglia cristiana a Oświęcim, in Polonia (la città in cui si trova Auschwitz), venne successivamente trovata da un’associazione che voleva restituirla ad una famiglia ebrea. Irene e un altro sopravvissuto alla Shoah diventarono “bambini poster” per l’iniziativa Rescue Children Inc. Vennero trasferiti a New York, dove vennero fotografati per LIFE Magazine. Poco dopo, Irene fu adottata dalla famiglia Slotkin a Long Island. Lì Irene confidò ai suoi genitori adottivi di avere un fratello gemello: gli Slotkin cominciarono le loro ricerche, attraverso un investigatore privato, per cercare il ragazzo in Europa. In una straordinaria e toccante storia di riunificazione, René fu adottato dagli Slotkin nel 1950. Aveva 12 anni e non vedeva sua sorella da sei anni, metà della loro vita. “In effetti, la notte in cui sono arrivato in America e ci siamo visti per la prima volta, non ci siamo detti niente. Ci siamo solo guardati l’un l’altro”, raccontava l’uomo in una delle sue interviste. “Non ci abbracciamo né baciammo. Niente del genere. Questo era tutto, e questo è tutto ciò che ricordo di quella notte”.
Dopo il college, Slotkin si unì alla Guardia Nazionale, dove raggiunse il grado di sergente e prestò servizio nelle riserve per sette anni. Divenne uno dei pochi sopravvissuti ad Auschwitz che prestò servizio nell’esercito americano, divenne noto perché indossava sempre una kippah e osservava lo Shabbat durante il servizio militare. Ricordava di essere rimasto scioccato dal fatto che i suoi compagni militari non sapessero molto dell’ebraismo e che non riconoscessero i numeri sul suo braccio come quelli di un tatuaggio di un campo di concentramento e ne rimase profondamente scosso.
Il primo figlio di René nacque mentre era lui nell’esercito. Ne seguirono altri prima del suo divorzio. Alcuni anni dopo, sposò un’insegnante, June, dalla quale ebbe una figlia.
René e Irene impiegarono quasi quarant’anni prima di iniziare a parlare apertamente delle loro esperienze durante la Shoah. Nel 1985, si recarono allo Yad Vashem, il memoriale israeliano della Shoah a Gerusalemme, per prendere parte a un finto processo a Josef Mengele incentrato sui suoi abusi sui gemelli, in cui l’investigatore dei crimini di guerra nazisti, Simon Wiesenthal, fece parte del panel. Il corpo di Mengele fu scoperto in Brasile un anno dopo. Era annegato nel 1979.
Nei suoi ultimi anni, Slotkin si offrì volontario al Camp Sharon a Tannersville, New York, dove insegnò falegnameria e sport ma soprattutto parlò ai ragazzi della Shoah e di cose significasse davvero essere un sopravvissuto. “Voglio che i bambini sappiano come apprezzo la vita oggi”, spiegava in “René ed io”, un documentario realizzato sulla sua vita.
Negli anni ’90, la sorella Irene sviluppò la sclerosi multipla, malattia che lei e suo fratello attribuirono agli abusi subiti da Mengele. Il sospetto era che Irene fosse quella sottoposta agli “esperimenti”, mentre René era la cosiddetta “variabile di controllo”. Irene si è spenta nel 2019.
“Mi sento molto, molto fortunato ad avercela fatta” ha affermato Slotkin in un’intervista del 1997. “Ho quelle che penso siano le vere ricchezze. Ho una moglie che mi ama e che io amo. Ho una famiglia. Appartengo ad una sinagoga, faccio parte di una comunità. Ho dei buoni amici, mi sembra di essere in buona salute. Ma poi c’è un po’ di vuoto” concludeva l’uomo.
Oggi René lascia la moglie June, che ha definito prima di morire “la migliore donna del mondo”, i suoi quattro figli, Zebbe, David, Corrie e Mia, 11 nipoti e un pronipote. Il servizio funebre si è tenuto domenica presso la Congregazione Ohab Zedek.