
I colloqui
Quella di ieri sera era la terza visita di Netanyahu alla Casa Bianca nei primi sei mesi della seconda presidenza Trump: un record assoluto, che insieme ai numerosi contatti telefonici, ai frequenti incontri del ministro degli Affari strategici Darmer a Washington e quelli dell’inviato americano per il Medio Oriente Witkoff mostrano il livello di coordinamento fra Israele e Usa in questo momento, anche se continuamente i commentatori ostili a Israele (quasi l’intera stampa “autorevole” in Occidente) cercano di spacciare come notizie la loro speranza di dissidi fra i due leader. Questi incontri però significano più di una semplice solidarietà di schieramento, sono i momenti in cui si prendono le decisioni importanti, di solito non rese immediatamente note o anche coperte da un velo di disinformazione per ingannare il nemico. È così che nell’incontro precedente Netanyahu e Trump quasi certamente decisero i modi e i tempi dell’attacco israeliano all’Iran e dell’intervento americano, anche se le dichiarazioni del presidente americano lo escludevano. Probabilmente questa volta si è parlato di cosa fare se l’Iran riprende il suo progetto nucleare, del modo di eliminare la minaccia degli Houti non solo su Israele ma sul commercio internazionale che passa dal Mar Rosso e dal Canale di Suez diretto in Europa e America settentrionale e soprattutto di come concludere la guerra a Gaza e liberare i rapiti. Nella conferenza stampa informale condotta insieme dai due leader sono intanto emersi alcuni punti fermi.
Gaza
In primo luogo, si è riaffermato il pieno coordinamento e la fiducia reciproca rispetto ai negoziati su Gaza. L’accordo sulla liberazione dei rapiti non è ancora concluso ma la trattativa continua. Hamas ha sostanzialmente rifiutato l’ultima offerta formulata dal Qatar, fingendo di accettarla ma aggiungendole condizioni inaccettabili; ma i punti di dissenso fra le parti sono abbastanza limitati. I terroristi sono ancora capaci di far male a Israele, come si è visto purtroppo anche ieri, grazie alla tecnica degli agguati alla mescolanza coi civili e alle fortificazioni sotterranee sopravvissute. Ma è chiaro a tutti che hanno perso, quasi tutti i capi sono eliminati e non controllano più l’80%del territorio. Trump e Netanyahu sono d’accordo che bisogna continuare a trattare e insieme a esercitare pressione su Hamas, proseguendo la disabilitazione del suo apparato militare, fino a che sarà accettato un accordo di tregua.
La fine della guerra
Per quel che riguarda lo stato finale della Striscia, è emerso un consenso sulla posizione presentata da Netanyahu: Hamas non dovrà avere nessun ruolo a Gaza né altrove, dovrà sciogliersi, i suoi capi principali saranno esiliati, gli altri saranno giudicati o forse amnistiati, la Striscia dovrà essere smilitarizzata. Israele continuerà ad avere la responsabilità della sicurezza, il che significa che potrà intervenire a bloccare ogni rischio di ritorno del terrorismo. Sarà istituita una nuova struttura amministrativa, che sarà affidata non all’Autorità Palestinese, ma più probabilmente alle tribù locali, anche se non è escluso che vi partecipino membri dei gruppi politici. La popolazione non sarà espulsa, ma chi vorrà andarsene sarà libero di farlo. In generale, come ha risposto esplicitamente Netanyahu a una domanda, Israele considera necessario che i palestinesi possano autoamministrarsi ma non può accettare che costituiscano una minaccia. Il che implica che dovrà esserci un cambiamento profondo anche nel funzionamento dell’Autorità Palestinese.
Il quadro internazionale
Per quanto riguarda l’Iran, gli scopi dell’operazione sono stati raggiunti, bloccandone l’armamento nucleare, che non sarà mai consentito. Se occorresse, Israele potrebbe intervenire di nuovo. Gli Usa sperano che la lezione dell’attacco sia stata compresa e che sia possibile far ripartire le trattative. Comunque anche su questo tema continuerà ad esservi uno stretto coordinamento fra Israele e Stati Uniti in ambito politico e militare. Per quanto riguarda Siria e Libano, Israele e Usa concordano che si è aperta una possibilità di cambiamento nelle relazioni. Israele non ha obiezioni alla decisione americana di togliere le sanzioni alla Siria, anche se considera prematura una completa normalizzazione dei rapporti. Quanto all’Arabia Saudita, sia Israele che gli Usa sperano che l’avvicinamento interrotto in seguito alla guerra prosegua e giunga a una conclusione positiva. In generale il tema dell’estensione di “patti di Abramo” è la prospettiva comune per dare tranquillità e progresso alla regione.
Le prospettive
Non vi sono state, insomma, in questa visita, o almeno non sono state annunciate decisioni nuove, forse perché la trattativa con Hamas non è proseguita come l’amministrazione americana sperava, tanto che alcune fonti accennano alla possibilità di un nuovo incontro fra i due leader addirittura in settimana. Ma resta la solidità e l’impegno di un’alleanza che sta ristrutturando il Medio Oriente. Gli effetti politici sono in genere assai più lenti delle operazioni militari, ma già l’equilibrio complessivo della regione è profondamente cambiato e questo progresso richiede attenzione e coordinamento.