“Anche io sono rimasto raggelato. Ma cio’ che mi ha raggelato di piu’ non e’ stata la pandemia…ma l’epidemia di paura che ha attanagliato il mondo”. Inizia cosi’ il nuovo ‘pamphlet’ dello scrittore e giornalista francese Bernard-Henri Levy ‘Il virus che rende folli’, edito in Francia da Grasset e in italiano da La Nave di Teseo e che il prossimo 27 luglio sara’ in scena nel cortile del Palazzo Reale di Milano alla Milanesiana, la rassegna culturale ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi. Una narrazione sul coronavirus surreale e irriverente nei confronti di tutti coloro che vivono l’emergenza sanitaria come ‘una guerra mondiale’. “Abbiamo sentito intellettuali che avevano visto altre guerre riprendere la retorica del nemico invisibile, dei combattenti di prima e seconda linea, della guerra sanitaria totale” scrive Levy. “E abbiamo visto Parigi svuotarsi, come nel diario dell’Occupazione di Ernst Juenger”. “Abbiamo visto popoli interi tremare e farsi trascinare nelle proprie abitazioni, a volte a colpi di manganello, come animali selvatici nelle loro tane”. Un excursus geografico-letterario: da Hong Kong, dove sono scomparsi i manifestanti “come per magia”, ai Peshmerga “rifugiati nelle loro trincee”. Fino all’ultimo obiettivo di guerra di Hamas: “Ottenere ventilatori da Israele“. “Una follia collettiva – la definisce Levy – aggravata dai media e dai social network che ci martellano, giorno dopo giorno, coi numeri dei pazienti in rianimazione, dei moribondi e dei morti, portandoci in un universo parallelo dove non esistono piu’ altre informazioni, rendendoci letteralmente folli: non e’ cosi’ che in fondo funziona una tortura cinese?”. Tra le conseguenze di quella che viene definita la “prima paura mondiale”, secondo Levy, c’e’ lo strapotere di medici e virologi. “Mai prima d’ora un medico si era invitato nelle case delle persone, ogni sera, ad annunciare come una triste Pizia, il numero dei morti del giorno”. Fino ad arrivare alle ‘questioni bizantine’ che riguardano anche l’Italia dove ci si e’ interrogati anche sui ‘congiunti’ e sugli ‘affetti stabili’, abolendo gli abbracci e le strette di mano. Ma non si violano forse l’etica e la civilta’, si chiede Levy. Lo stringersi la mano – ricorda “era un segno di solidarieta’ repubblicana promosso dalla Rivoluzione francese”. E ancora il richiamo collettivo alla ecologia e all’ambiente scatenato dal coronavirus, anche questo motivo di ironia per Levy che cita l’ex ministro della Transizione ecologica di Macron, Nicolas Hulot, autore di un manifesto in cento punti per un mondo migliore post-Covid. “Ascoltandoli, la natura si vendicherebbe e il virus sarebbe una ‘grande opportunita””, commenta. E’ ora forse, conclude lo scrittore francese, e’ il momento di fare un bilancio, di recuperare, dopo questa esperienza disastrosa, un’idea di mondo e di vita piu’ complessa edi tornare a vivere. “Dobbiamo resistere a qualsiasi costo – suggerisce in chiusura del libro l’autore – a questo vento di follia che soffia nel mondo”. (AGI)