Il bombardamento
È confermato. Israele ha liquidato venerdì sera il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah con un pesantissimo bombardamento sul quartier generale del gruppo a Dahiyeh, nella periferia sud di Beirut. Con lui sono stati uccisi alcuni altri importanti dirigenti del gruppo terrorista fra cui il numero tre di Hezbollah Ali Karki, che era sfuggito a un bombardamento due giorni prima e il generale di brigata iraniano Abbas Nilfrushan, vicecomandante dei pasdaran e plenipotenziario dell’Iran in Libano e Siria. È il colpo più importante che Israele abbia inferto all’asse terrorista nell’intera guerra, ben maggiore dell’eliminazione del presidente del politburo di Hamas Haniyeh il 31 luglio scorso a Teheran, o delle altre numerose eliminazioni di capi terroristi di questi mesi. Nasrallah era infatti il più importante alleato dell’Iran, il più fidato e sperimentato, il vero padrone del Libano.
La disarticolazione di Hezbollah
Inoltre la sua eliminazione segue immediatamente a una serie di atti di guerra con cui Israele ha disarticolato completamente il vertice della più pericolosa organizzazione terroristica che deve affrontare. Prima, la mattina del 17 settembre in Libano e in Siria, migliaia di cercapersone in dotazione ai quadri di Hezbollah sono esplosi nel giro di pochissimo tempo; il giorno dopo l’azione è stata ripetuta con le radio portatili. Complessivamente sono morte molte decine di comandanti di Hamas e in migliaia sono stati messi fuori combattimento, perlopiù definitivamente. Poi, il 21 settembre, c’è stata l’eliminazione del capo di stato maggiore di Hezbollah, Ibrahim Aqil e di altri quattordici comandanti della forza d’élite del movimento, le “brigate Radwan”. Dopo sono venuti alcuni altri attacchi a capi militari di Hezbollah e ai suoi depositi di missili e di esplosivi, ma soprattutto è stata la volta di Nasrallah. I bombardamenti sono continuati mirando ad altre armi, in particolare i razzi antinave che avevano creato seri problemi alla marina israeliana già nel 2006, i depositi di droni e di missili guidati a lunga gittata.
Chi era Nasrallah
In questa serie molto concentrata ed efficace di attacchi, che ha almeno dimezzato l’armamento di Hezbollah, distrutto completamente il suo comando militare e i suoi sistemi di comunicazione, l’uccisione di Nasrallah ha un alto valore simbolico, ma anche un grande effetto pratico. Nasrallah aveva preso il comando di Hezbollah nel 1992, l’aveva trasformato da piccolo gruppo terrorista nel padrone del Libano e nella principale forza fra quelle alimentate e dirette dall’Iran, capace di intervenire in maniera decisiva nella guerra civile siriana e di costituire una minaccia serissima per Israele, coi suoi 80 mila uomini inquadrati e più di centomila missili. Era insieme il capo politico e militare indiscusso del gruppo, la sua guida religiosa, il principale interlocutore della “guida suprema” del mondo sciita, Alì Khamenei.
Una sconfitta dell’Iran
La durissima sconfitta di questi giorni mette a rischio l’intera strategia imperialistica dell’Iran. Dopo la distruzione delle forze armate di Hamas, che ormai può continuare a combattere Israele solo in forma di piccoli gruppi di guerriglia. La disarticolazione di Hezbollah distrugge decenni di investimenti economici e militari. Vi sono ancora risorse militari del gruppo libanese, migliaia di armi, missili e infrastrutture, che possono permettere al gruppo di infliggere ancora danni e costringere Israele a fare quel che Hezbollah si era preparato a fronteggiare come prima reazione, cioè un’operazione di terra. Ma soprattutto se le forze armate israeliane saranno lasciate operare senza essere bloccate da tregue imposte dagli americani, la capacità bellica del gruppo terrorista continuerà a diminuire. Tanto più che l’Iran ha commentato la morte dicendo che Hezbollah sta comunque vincendo, che Israele è troppo piccolo per minacciarla, insomma rifiutando di impegnarsi direttamente nella guerra. Tanto che quando Israele sabato mattina ha intimato all’aeroporto di Beirut di non lasciare atterrare un aereo di rifornimenti iraniani, questo ha invertito immediatamente la rotta e Iran Air ha annunciato di rinunciare a ogni collegamento col Libano.
Israele colpisce da solo
Vale la pena di sottolineare due aspetti significativi dell’operazione “nuova forza” con cui Israele ha eliminato Nasrallah. La prima è che gli americani hanno dichiarato ufficialmente di non essere stati informati in precedenza e di non aver fornito intelligence a Israele. Non hanno dato neanche le molto richieste bombe antibunker con cui l’aviazione israeliana ha raggiunto il capo terrorista in un sotterraneo blindato sotto case di abitazione, secondo il solito stratagemma terrorista di usare i civili come scudi umani. Dunque Israele ha fatto tutto da sé, ha usato bombe di sua costruzione e informazioni procurate solo dal Mossad, com’è accaduto del resto anche negli altri attacchi dei giorni scorsi. C’è stato insomma un gesto di forte indipendenza. Israele probabilmente avrebbe potuto eliminare Nasrallah molte volte, avendo informazioni su tutti i movimenti della leadership di Hezbollah, come si è visto nei giorni scorsi. Ma ha deciso di farlo in questo momento nonostante le pressioni provenienti da Usa, Francia e altri Paesi, perché ritiene di dover passare ora all’offensiva, per non essere bloccato in una guerra di logoramento.
Il discorso di Netanyahu
Il secondo aspetto importante è che il bombardamento è avvenuto subito dopo il grande discorso all’assemblea generale dell’Onu pronunciato da Netanyahu, che aveva autorizzato il colpo prima di iniziare a parlare, forse direttamente dalla sede dell’Onu. Il discorso, come pure la discussione intorno a una tregua di 21 giorni promossa dall’amministrazione Biden, è servito dunque come copertura, per tener tranquillo Nasrallah quando gli aerei che l’avrebbero ucciso erano già in volo. Ma è stato anche un intervento alto e significativo, in cui Netanyahu ha chiarito a chi lo stava a sentire (pochi nell’aula dell’Onu abbandonata dai Paesi arabi, ma probabilmente molti nei ministeri degli stati coinvolti). Netanyahu, visibilmente emozionato tanto da commettere un paio di lapsus per lui inconsueti e prontamente corretti, ha quasi anticipato il colpo su Nasrallah, dichiarando a proposito di Hezbollah che “il troppo è troppo” e che “badate signori, noi stiamo vincendo”; ha riaffermato due volte enfaticamente la missione di liberare gli ostaggi (senza mai citare un cessate il fuoco) e poi quella di riportare gli israeliani sfollati a casa; ha motivato duramente la sua totale sfiducia nell’autorità palestinese, ha sostenuto con forza che Israele non combatte solo per sé ma per molti Paesi nel Medio Oriente e nel mondo, ha soprattutto confermato la propria visione della pace come frutto della vittoria di Israele e dell’accordo con gli arabi moderati, innanzitutto i sauditi: un programma politico del tutto diverso da quello dell’amministrazione Biden e dell’Unione Europea, ma che è stato certamente molto rafforzato dalla distruzione della forza dei movimenti terroristi e in particolare dell’eliminazione di Nasrallah. In una situazione normale, questa sarebbe la base dell’accordo che porrebbe fine alla guerra. Non è detto che sia così, perché ammettere la sconfitta sarebbe la fine dei movimenti terroristi e forse anche per la dirigenza iraniana. Bisogna prepararsi ad altri mesi di guerra, a colpi di coda con attacchi missilistici e terroristici. Ma la direzione della pace, come ha spiegato Netanyahu, è quella che usa la forza e l’autodifesa, non certo l’accondiscendenza all’aggressione che vorrebbero i democratici Usa e l’Europa.