A partire dall’estate del 2013, ovvero da quando è stato eletto il presidente Hassan Rohani, in Iran “il tasso di esecuzioni è nettamente aumentato”. Lo denuncia Nessuno tocchi Caino nel dossier ‘I volti della Repressione’ che presentato ieri al Senato. Il rapporto descrive i profili di 23 esponenti del regime che, dalla rivoluzione khomeinista alle più recenti proteste di piazza, si sono resi responsabili di “brutali repressioni”. Questi 23 esponenti del regime iraniano dovrebbero essere inseriti nell’elenco dell’Unione Europea delle persone destinatarie delle misure restrittive in vista della sua revisione prevista entro il 13 aprile 2020. Tra gli esponenti della Repubblica islamica citati dall’organizzazione ‘Nessuno tocchi Caino’ nel suo dossier figurano il capo della magistratura Ebrahim Raisi, il ministro delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione Mohammad-Javad Azari Jahromi, il ministro dell’Intelligence Mahmoud Alavi, il ministro dell’Interno Rahmani Fazli, il capo dei Pasdaran, il generale Hossein Salami ed il nuovo comandante della Forza Quds, il generale Esmail Ghaani.
Secondo Nessuno Tocchi Caino, l’elezione di Rohani alla presidenza della Repubblica Islamica nel giugno del 2013 e la sua riconferma alle elezioni del maggio 2017, avevano portato molti osservatori, alcuni difensori dei diritti umani e la comunità internazionale a salutare il suo avvento come una svolta e ad essere ottimisti sul futuro dell’Iran. “Tuttavia – si evidenzia – se consideriamo l’applicazione della pena di morte, il suo governo non ha cambiato regime, anzi”.
Nel 2019 in Iran le esecuzioni sono state almeno 285, tra cui quelle di otto minorenni e diciassette donne. Almeno 310 persone, compresi sette minorenni al momento del fatto e cinque donne, sono state impiccate invece nel 2018.
“Oltre 3.883 prigionieri sono stati giustiziati dal primo luglio 2013, inizio della presidenza di Hassan Rohani” in Iran, denuncia il dossier.
MA la durezza e la violenza del regime degli ajatollah non si manifesta solo con le pene di morte, ma anche e soprattutto con la “repressione” delle manifestazioni antigovernative che si sono tenute in Iran alla fine dello scorso anno contro il caro benzina che ha provocato “almeno 1.500 morti tra uomini, donne e bambini, freddati per lo più da proiettili sparati a bruciapelo dai Pasdaran”. Inoltre almeno 12mila persone sono state arrestate. “Di questi iraniani inermi oggi non si sa più nulla e nessuno se ne interessa, nonostante penda su di loro la minaccia di finire con un cappio intorno al collo”, sottolinea l’organizzazione che conduce una campagna mondiale per l’abolizione della pena di morte.
Un capitolo a parte del dossier è dedicato al generale Qassem Soleimani, il comandante della Forza Quds dei Pasdaran ucciso in un raid americano in Iraq, “è stato descritto come uno stratega a capo di milizie implicate in vari scenari funzionali a un disegno espansionista iraniano, ma non è stata comunicata con altrettanta enfasi la natura sanguinaria delle sue milizie e del suo operato”. Il dossier sottolinea come Soleimani fosse “disprezzato dalla stragrande maggioranza degli iraniani e, durante le rivolte nel 2018 e nel 2019, i dimostranti hanno strappato e incendiato i suoi manifesti in diverse città. Anche in Iraq, dove i manifestanti ne chiedevano da tempo l’espulsione, hanno accolto con favore la sua morte come un segno della fine del controllo del regime dei mullah sul loro Paese”. Nessuno tocchi Caino evidenzia quindi come le milizie dirette da Soleimani siano state responsabili del “massacro di 141 oppositori al regime iraniano, membri dell’organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano, che sono stati attaccati a più riprese tra il 2009 e il 2016 in Iraq, dove godevano dello status di rifugiati”.