Ci sono volti che fanno la storia, ma anche alcuni capi di abbigliamento lo sono diventati. Stiamo parlando delle suffragette, donne che appartengono al movimento di emancipazione femminile nato nel 1800 per ottenere quel diritto di voto da sempre negato. Un principio storico di femminismo che si spera cessi di esistere perché significherebbe che la donna abbia raggiunto una piena dignità e gli stessi diritti concessi all’uomo.
Il loro vestiario era composto da due indumenti molto simbolici che hanno mantenuto il loro significato fino ai giorni nostri: i bloomers e la shirtwaist.
La shirtwaist è una blusa, decorata con pizzo e fronzoli, avvolta da un corpetto dove erano ricamati dei bottoni in verticale. Proprio per questo era definita come una “camicia sartoriale da donna con dettagli delle camicie da uomo”. Dal famoso rogo nell’impresa tessile Triangle Shirtwaist Company (a New York nel 1911) dove morirono 146 donne, di cui 123 immigrate italiane ed ebree, nacque il simbolo di libertà e di lotta alla parità dei sessi incarnato dalla blusa che veniva prodotta proprio all’interno di questa famosa azienda.
I bloomers, invece, nacquero durante la metà dell’Ottocento grazie a Elizabeth Smith Miller che, durante un’attività di giardinaggio in casa sua, decise di indossare un paio di ampi pantaloni lunghi fino alla caviglia coperti da una gonna morbida che arrivava al ginocchio. Una vera rivoluzione visto che all’epoca si indossava solamente il corsetto e la gonna con crinolino di ferro per renderla più ampia ma scomoda. Elizabeth aveva un’amica suffragetta ed editrice, Amelia Bloomer, al quale le raccontò della sua invenzione per stare più comoda. Nacque così un articolo per la rivista femminile “The Lily” e con il potere della stampa si diffuse rapidamente questo modo pantalone rivoluzionario che venne chiamato “Bloomer” in onore di Amelia. Da quel giorno, i bloomers divennero simbolo di rinascita e motivo di insurrezione per l’epoca in cui si viveva.