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    Il World Trade Center: “L’ho visto nascere e morire”

    Le due torri gemelle del World Trade Center erano un gioiello architettonico e non solo architettonico. Lavorare in quei palazzi era una delizia.  Le avevo viste costruire nel 1970 mentre studiavo alla scuola di business della New York University che aveva sede all’angolo di Trinity Street, di fronte ai lavori. Un giorno durante una lezione arrivò un vice sindaco di New York che disse di non avere idea dell’impatto delle due torri sul sistema dei trasporti della città.

     

    Nel 1974 tornato a New York e sposato da poco, avevo trovato lavoro alla Italian Trade Commission alla torre numero uno, al ventesimo piano. Il panorama era una meraviglia. Mio padre durante una visita a New York, venne nel mio ufficio ed ebbe a dire che con un panorama così si poteva lavorare a mezzo stipendio!

     

    Nel 1980 l’ufficio fu trasferito. Poi iniziai a lavorare in proprio. Nel 1984 andai al World Trade Center per cercare spazio per la mia piccola azienda di consulenza, ma era tutto occupato. Il mio ex direttore alla Italian Trade Commission, il dottor Lucio Caputo, un eccezionale imprenditore di origine palermitana, si era messo in proprio e tornò con la sua nuova azienda nel World Trade Center e affittando un ufficio al settantottesimo piano.

     

    L’11 settembre 2001, alle 8:45 di mattina ero ancora a casa. Il mio ufficio era a Madison Avenue all’angolo con la 42esima street; non avevo appuntamenti e non avevo fretta di andare a lavorare. Improvvisamente dalla radio arrivò la notizia che un aereo aveva colpito una delle due torri. Non avevo sentito bene la notizia e pensavo che si parlasse dell’aereo che colpì l’Empire State Building negli anni Quaranta. Poi arrivò la notizia che un altro aereo aveva colpito la seconda torre. Non era un incidente. Poi avvenne l’incredibile con le due torri che crollarono. Pensai a coloro che lavoravano nei piani alti, sopra all’impatto degli aerei, che non avevano via di scampo. Gli ascensori e le scale erano nel centro delle torri e l’esplosione aveva reso impossibile la discesa dai piani alti.

     

    Shimon Biegeleisen, figlio del proprietario di una nota libreria ebraica a Boro Park, si trovava ai piani alti. Rendendosi conto che non aveva via di scampo, chiamò un amico e gli chiese di occuparsi di sua moglie e dei figli. Ora la sua foto è sul muro del museo dell’11 settembre. Un vicino di casa, Aharon Ahisar, guidava un camion proprio sotto il World Trade Center quando le torri vennero colpite. La strada era piena di detriti. Si mosse appena cercando di allontanarsi e in quel momento del metallo cadde sul camion. Se fosse rimasto fermo sarebbe morto. Cercò di tornare a Brooklyn ma i ponti Downtown erano stati bloccati e così pure i tunnel. Impiegò tutta la giornata per tornare a casa attraverso il ponte alla 59esima strada. Ora ogni anno nell’anniversario dell’11 settembre, l’amico Aharon fa una cerimonia di ringraziamento nel bet ha-kenesset.

     

    Alle 10.30 di mattina telefonai a casa del dottor Caputo. Parlai con la moglie. Non aveva notizie del marito. “Preghi per lui” mi disse. Miracolosamente era riuscito a scendere di corsa dal settantesimo piano e uscire per strada correndo, per evitare di essere colpito dai detriti. Quando tornò a casa la moglie commentò che “Grosser conosceva tutti i santi di Palermo”. 

     

    Per mesi ebbi incubi di notte. Credevo di essere nel mio ufficio e di cercare un modo di trovare le scale per scendere e salvarmi. Il World Trade Center: l’avevo visto nascere e lo vidi morire.

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