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    Il dragone cinese adesso nuota nel Golfo

    Vogliamo sperare che in Israele il sistema della sicurezza nazionale non si sia trovato del tutto sotto shock da impreparazione quando venerdì scorso a Pechino si è aperto un nuovo capitolo nelle vicende mediorientali. Sotto la benedizione di Wang Yi –che è responsabile per l’estero nel Comitato Centrale del Partito Comunista e dunque numero due del regime– l’Arabia Saudita del Principe Mohammed Bin Salman e l’Iran della teocrazia sciita hanno infatti ristabilito le piene relazioni diplomatiche dopo la rottura del 3 gennaio 2016, e restituito piena operatività agli accordi intergovernativi di cooperazione stipulati nel 1998 e perfezionati successivamente nel 2001. La carta stampata e l’informazione h24 di internet avevano concesso moderato risalto alla notizia, lasciandola presto scivolare nelle profondità delle pagine interne e dei link, per riesumarla infine quando se ne è percepita la vera importanza.

     

    L’entrata dei cinesi sulla scena sempre turbolenta del Golfo del petrolio trova però le giuste dimensioni e implicazioni in qualche sito che si diverte a mescolare l’utile, cioè la grande politica internazionale, con il gossip più colorito. I cosiddetti atlantisti puri e duri (ma atlantista è termine ambiguo, vista la molteplicità degli interessi in gioco) appaiono spiazzati da questo successo della Repubblica Popolare, tuttora comunista sia pure a modo suo, cioè nei modi del Presidente Xi. Israele si trova sotto lo tsunami di complicate vicende interne. Tuttavia gli israeliani hanno dovuto prendere atto di una realtà, e cioè che dopo la pandemia e la guerra in Ucraina la politica estera cinese non è apparsa minimamente colpita dai fattori di crisi, facendosi invece più assertiva. E’ sostenuta da una potenza economica e finanziaria apparentemente invulnerabile, e da sostanziali sviluppi delle tecnologie militari. Le relazioni economiche di Israele con la Cina sono importanti, i rapporti distesi. Però Pechino tradizionalmente insiste con tranquilla fermezza sulla questione di Gerusalemme e sulle prospettive di soluzione con gli arabi palestinesi.  

     

    Può essere interessante rilevare come le prime forniture hi-tech per la difesa siano arrivate, così si lasciò a suo tempo trapelare, al PLA (Esercito Popolare di Liberazione) proprio da Israele. Era l’epoca degli attriti con l’Amministrazione Obama provocati dallo sciagurato accordo nucleare con gli ayatollah di Teheran, freddamente voluto da Washington e dalla UE per far circolare miliardi di dollari a spese della sicurezza tanto dello Stato ebraico quanto dell’Arabia Saudita. Nella politica, e nella geopolitica soprattutto, il vuoto non sussiste. Gli USA hanno abbandonato la Siria nel 2011 e l’Afghanistan nel 2021. Israele non si sente protetta. Il disimpegno americano dal Medio Oriente è palese e visibile. Alla Cina sono bastate semplici manovre sul proprio peso economico e dunque strategico per spostare a proprio vantaggio equilibri già alterati.

     

    La Cina inoltre, e non paradossalmente, è vista con favore per l’ateismo di Stato che la caratterizza. Infatti non si lascia influenzare da altre considerazioni che non siano il business, e il connesso perseguimento di un nuovo ordine planetario basato su interessi e non  su ideologie. La guerra non dovrà disturbarlo. Visto in questi termini l’accordo del 10 marzo 2023 contiene per Israele le classiche due notizie, una buona e l’altra cattiva. La notizia buona è che l’Iran si trova con l’acqua alla gola, per mancanza di liquidità e per i disordini interni. Quindi dovrebbe desistere, come evidentemente si vuole a Pechino, da politiche destabilizzanti che risultano per definizione incompatibili con la cultura del Tao e della suprema armonia. E questo sarà bene per gli ebrei e per Israele, si spera. La notizia cattiva è che eventuali programmi israeliani di interdizione militare nei confronti dell’Iran dovrebbero confrontarsi con una potenza poco incline a rivedere posizioni acquisite e consolidate. Il giorno che la Cina dovesse proporre una propria road map per accordi sicuri ma definitivi con i palestinesi, a Gerusalemme si dovranno attentamente valutare le reali dimensioni del drago che si è insediato poco lontano.

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