In un albergo, ma quel che conta è che si sono visti
Dopo un’anticamera record di otto mesi e ventidue giorni, finalmente il primo ministro del trentaseiesimo governo di Israele ieri ha ricevuto udienza dal presidente dello stato che è il più suo stretto alleato. Che si tratti di Bibi Netanyahu e di Joe Biden, i quali si conoscono almeno dagli Anni Ottanta, quando il primo era il rappresentante israeliano all’Onu e il secondo era un senatore americano già importante e appassionato di politica estera, rende questo ritardo ancora più significativo. Che poi l’incontro si sia svolto non alla Casa Bianca a Washington (dove è stato annunciato ieri che Netanyahu sarà invitato entro la fine dell’anno), ma in una sala di un grande albergo di New York, l’Hotel InterContinental a una decina di isolati dall’edificio delle Nazioni Unite, ha reso la situazione ancora più inedita. Bisogna aggiungere che l’albergo era circondato da israeliani all’estero che contestavano non il principale nemico del loro paese, il presidente iraniano Raissi, che anzi in quel momento riceveva una delegazione della setta “ultraortodossa” antisionista dei Naturei Karta, ma il primo ministro del loro paese, che in quel momento stava cercando di difendere gli interessi del loro stesso Stato.
Questioni internazionali, ma di politica interna
La ragione di questa situazione così inconsueta è che, secondo un vecchio adagio, tutta la politica è sempre politica interna, soprattutto in democrazia, perché quel che conta sono i voti. Biden fra un anno ha le elezioni e nei sondaggi è sfavorito rispetto a Trump. Deve cercare di mobilitare il suo partito, sempre più estremista, la cui ala sinistra si rifiuta di condannare l’Iran per la repressione, anche quella delle donne che sono state uccise per aver rifiutato il velo, come Masha Amini, mentre non perde occasione per attaccare Israele che si difende dal terrorismo. Quindi, al di là dei suoi sentimenti personali, non può mostrarsi vicino al governo israeliano. Netanyahu non ha elezioni in vista, ma sta cercando di spostare il dibattito interno in Israele su temi più concreti e aperti al futuro delle divisioni attuali, che ormai non si incentrano più sulla riforma della giustizia ma sull’odio rivolto a gruppi e persone. È fondamentale per lui, oggi più di sempre, ottenere dei risultati significativi sul piano economico e politico nelle relazioni internazionali. Per questa ragione Biden ha parlato della necessità di far ripartire il progetto dei due Stati (che in realtà oggi nessuno vuole davvero, soprattutto i palestinesi) e Netanyahu ha insistito sull’accordo con l’Arabia e sull’asse di trasporto e collaborazione fra l’India e l’Occidente passando per il Medio Oriente e in particolare per Israele chiamato I2U2, su cui oggi è prevista una dichiarazione comune fra India, Usa e Israele.
Che cosa ha detto Biden
“Settantacinque anni fa, il primo ministro israeliano, David Ben-Gurion, dopo aver dichiarato l’indipendenza, usò una frase che ho citato molto spesso. Ha detto che il mondo sta dalla parte di Israele affinché il sogno di generazioni si realizzi. Israele e gli Stati Uniti lavorano insieme da molto tempo per rendere quel sogno una realtà. Mi avete sentito dire, molte volte, che se non ci fosse Israele dovremmo inventarlo. Penso che senza Israele non ci sia un ebreo al mondo che sia sicuro. Penso che Israele sia essenziale.” Poi però, entrando nei termini della politica concreta e dei rapporti fra i due stati, ha detto cose meno gradevoli: “Oggi discuteremo alcune delle questioni difficili. Cioè, sostenere i valori democratici che sono al centro del nostro partenariato, compresi controlli ed equilibri nei nostri sistemi, e preservare il percorso verso una soluzione negoziata a due Stati, e garantire che l’Iran non acquisisca mai, mai, un’arma nucleare. Perché anche se ci sono delle divergenze, il mio impegno nei confronti di Israele, come sapete, è ferreo”.
E che cosa ha dichiarato Netanyahu
“Penso che sotto la sua guida, signor Presidente, possiamo realizzare una pace storica tra Israele e Arabia Saudita, e penso che una tale pace farebbe molto, in primo luogo, per far avanzare la fine del conflitto arabo-israeliano, raggiungere riconciliazione tra il mondo islamico e lo Stato ebraico e promozione di una vera pace tra Israele e palestinesi. Questo è alla nostra portata. Credo che lavorando insieme possiamo scrivere la storia e creare un futuro migliore per la regione e oltre. Inoltre, lavorando insieme, possiamo affrontare quelle forze che minacciano quel futuro, soprattutto l’Iran. Apprezzo, signor Presidente, il suo continuo impegno per impedire all’Iran di acquisire capacità di armi nucleari. Penso che sia fondamentale. E questo nostro obiettivo condiviso può essere raggiunto al meglio con una minaccia militare credibile, sanzioni paralizzanti e sostegno agli uomini e alle donne coraggiosi dell’Iran che disprezzano quel regime e che sono i nostri veri partner per un futuro migliore”.