Don Pietro Pappagallo, trucidato a 55 anni
alle Ardeatine nel 1944, è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni. Il suo
nome compare oggi nell’elenco di 400 italiani che a rischio della propria vita
si impegnarono per salvare gli ebrei, e i cui nomi sono stati posti a memoria
perenne sul muro perimetrale dello Yad Vashem, il luogo del Ricordo a Gerusalemme.
Nel 1998, a Don Pappagallo, il presidente
della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi conferì la medaglia d’oro al merito
civile perché «durante l’occupazione tedesca collaborò intensamente alla lotta
clandestina e si prodigò in soccorso di ebrei, soldati sbandati, antifascisti e
alleati in fuga dando loro aiuto per nascondersi e rifocillarsi. Tradito, fu
consegnato ai tedeschi, sacrificando la sua vita con la serenità d’animo, segno
della sua fede, che sempre lo aveva illuminato». Don Pietro Pappagallo – unico
sacerdote trucidato nell’eccidio nazista delle Fosse Ardeatine insieme ad altre
334 vittime – era nato nel 1888 a Terlizzi, nel Barese, e aveva 7 fratelli. Il
padre era cordaio e la madre casalinga. Ordinato prete nel 1915 e, dopo aver
servito in Puglia e Calabria, nel 1925 arriva a Roma dove si mette al servizio
degli ultimi. Tre anni dopo è nominato vicario di Santa Maria Maggiore. Durante
la Seconda guerra mondiale don Pietro procura ai fuggiaschi dei salvacondotti
per attraversare le linee a Sud e poi cerca di proteggere e nascondere tanti
ebrei. Per questa sua attività gli viene teso un tranello da parte di una spia:
Gino Crescentini si finge fuggiasco in cerca di un nascondiglio e, una volta
ottenuto, lo denuncia. Così don Pappagallo viene arrestato dalle SS e condotto
nel famigerato carcere di Via Tasso, a Roma. II 24 marzo 1944 viene portato
nella cava nei pressi di via Ardeatina dove — racconterà un superstite — poco
prima di essere trucidato alza le braccia al cielo e prega, impartendo a tutti
l’assoluzione. Nel 2000 papa Giovanni Paolo II ha voluto che don Pietro
Pappagallo entrasse nella lista dei martiri della Chiesa del Ventesimo secolo.