Negare il genocidio degli ebrei da parte dei nazisti non attiene alla sfera della libertà di espressione: lo ha confermato oggi la giustizia tedesca, interpellata da Ursula Haverbeck, una figura di primo piano del negazionismo in Germania. Il negazionismo “supera i limiti della serenità dei dibattiti pubblici e costituisce un disturbo per la pace pubblica”, ha annunciato la Corte costituzionale tedesca. “La diffusione consapevole di accuse la cui falsità è stata stabilita non può costituire un contributo alla libertà di espressione e quindi non è coperta dalla libertà di espressione”, ha insistito la Corte. La Corte costituzionale era stata interpellata da Ursula Haverbeck, 89 anni, figura di spicco del negazionismo tedesco e rappresentante del “revisionismo storico”, condannata più volte per aver negato l’Olocausto. La sua ultima condanna risale all’ottobre 2017, quando le è stata comminata una pena di sei mesi di reclusione per avere dichiarato pubblicamente in un ristorante di Berlino che il genocidio degli ebrei da parte dei nazisti non era mai esistito e che non c’erano mai state camere a gas ad Auschwitz. Sostenendo che queste osservazioni facevano parte della sua libertà di espressione, Ursula Haverbeck si è quindi appellata alla Corte costituzionale tedesca. Ma per la Corte “una condanna per negazionismo è fondamentalmente compatibile con” l’articolo della Costituzione tedesca che regola la libertà di espressione nel Paese.