Sotto le pressioni americane, Cina e Iran sembrano sempre più vicini. E’ una sfida agli Stati Uniti di Donald Trump o solo un sogno per l’Iran degli ayatollah? Il gigante asiatico e la Repubblica Islamica lavorerebbero per rafforzare la cooperazione in campo economico ma anche in materia di sicurezza, secondo una presunta bozza di accordo che circola su Internet. Un piano, valido per 25 anni, prevede la fornitura da parte dell’Iran di petrolio a prezzi stracciati in cambio di miliardi in investimenti cinesi, almeno secondo l’idea nata durante la visita di quattro anni fa di Xi Jinping a Teheran, quando il presidente cinese ha promesso un “partenariato strategico di ampia portata”. Ma le cose, da allora, sono molto cambiate, a cominciare dal prezzo del petrolio. Sarebbe comunque un duro colpo per gli Usa di Donald Trump, che nel 2018 si sono ritirati dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano e che hanno imposto nuove sanzioni a Teheran per il suo programma nucleare nel quadro di una “strategia di massima pressione” che si aggiunge alle tensioni militari. Hassan Rohani parla di un “progetto strategico”, di una “importante opportunità di crescita economica” per il Paese – piegato dalle sanzioni, con la valuta a picco e in difficoltà anche per l’epidemia di coronavirus – e per “la stabilità e la pace nella regione”. Praticamente nessun dettaglio trapela dalla Cina. La responsabile del Dipartimento per l’informazione del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, si è limitata a descrivere l’Iran come un “Paese amico, con normali scambi e cooperazione con la Cina”. “Rohani voleva migliorare le relazioni con l’Occidente, ma dopo il ritiro deciso da Trump non è più possibile – ha commentato un esperto di politica a Teheran che ha chiesto di non essere identificato – Le uniche alternative erano Cina o Russia”. La Repubblica Islamica ha bisogno di vendere il suo petrolio all’estero. “Ma – dice l’esperto – il diavolo sta nei dettagli”. A Teheran ci sarebbe scetticismo su alcune delle presunte clausole dell’accordo, come i pagamenti in yuan, anziché in dollari. Tra i dettagli, tutti da confermare, una base aerea cinese in terra iraniana o l’isola di Kish ‘in regalo’ al Dragone. “Sono tutte bugie diffuse dagli Usa perché l’accordo costerà caro a Washington”, ha commentato il portavoce della diplomazia iraniana, Abbas Mousavi. In Iran non manca comunque chi storce il naso. “Made in Germany o Made in Japan significa qualità, Made in China significa spazzatura”, ha commentato senza mezzi termini Amir R., un imprenditore di Teheran. E per Yin Gang, esperto della China’s Academy for Social Sciences, “nell’attuale clima a livello internazionale è difficile cooperare a tutto campo con l’Iran”, motivo per cui “non è il momento di parlare seriamente dell’attuazione”. “Non ci sono stati negoziati in tempi recenti”, ha detto, nella convinzione che “questo accordo non verrà firmato”. (Rak/AdnKronos)