La Shoah, ripetiamo spesso giustamente, è un evento con specificità irriducibili. Pur rimanendo, questa, una posizione da sottoscrivere in pieno, allo stesso modo è indispensabile fare attenzione a non isolare lo sterminio di sei milioni di ebrei europei ponendolo fuori dalla storia, nella regione del mistero. E’ l’avvertimento di Georges Bensoussan che penetra ogni pagina di Genocidio. Una passione europea, pubblicato in Italia per i tipi di Marsilio. Lo storico francese ricostruisce gli antefatti culturali della Shoah: non per ritrovare cause a un evento successivo di tale ampiezza, cosa impossibile a meno di fare propria un’inaccettabileidea deterministica della storia, ma per individuare il terreno fertile che ha consentito lo sviluppo del frutto avvelenato dell’odio antisemita genocida. Bensoussan riflette su fenomeni come l’esperienza dei limiti durante la Grande guerra da parte dei soldati al fronte, abituati alla morte di massa e alla banalizzazione della violenza, il darwinismo sociale e il culto maschilista della virilità, la permanente mobilitazione nazionalista degli animi; ma anche sul laboratorio africano dello sterminio, con pagine sul genocidio degli herero in Namibia da parte della Germania guglielmina che richiamano per molti motivi il successivo assassinio di massa degli ebrei europei; sull’Europa antilluminista, che identifica nell’ebreo l’agente per eccellenza della modernità con i suoi corollari di spersonalizzazione, sradicamento e democrazia; sul razzismo, il cospirazionismo e il millenarismo secolarizzato; sull’antisemitismo moderno e sull’odio antico, teologico, cristiano, meno distanti di quanto una costruzione ideologica del dopoguerra vorrebbe far credere. Un’indagine, insomma, a tutto tondo, perché “il fenomeno decisivo”, come ha scritto Raymond Aron, “è rappresentato dalle forme di odio astratto, l’odio per qualcosa che non si conosce e sul quale vengono proiettate tutte le riserve di odio che gli uomini sembrano possedere nel fondo di loro stessi”.