Al–Shabab è un termine a cui
ancora non siamo molto abituati. Lo sentiamo di striscio, di soppiatto, letto
in un articolo sul giornale o pronunciato in un servizio alla tv in cui
scorrono immagini di repertorio di uomini armati di kalashnikov che parla di
rapimenti o attentati terroristici. L’ultimo in ordine di tempo l’attacco
kamikaze avvenuto martedì pomeriggio all’hotel Dusit di Nairobi che ha ucciso 14
persone e ferito altre 30. Un gruppo, quello di Al–Shabab, con un’identità e
una storia ben precise. Nato dalla disgregazione della Somalia, l’organizzazione
è diventata negli anni il principale gruppo terroristico dell’Africa orientale
e dal 2012 agisce come affiliato di Al – Qaeda. Tra le sue “imprese” più
eclatanti quella al centro commerciale Westgate mall di Nairobi nel 2013, in
cui morirono 63 persone e 175 rimasero ferite e quello all’università di
Garissa nel 2015, in cui furono massacrati 150 studenti. Emersi nel 2006, dopo
la sconfitta dell’Unione delle Corti Islamiche da parte del Governo Federale di
Transizione, gli Al-Shabab, che in lingua somala significa “I Ragazzi”, puntano
a instaurare nel loro Paese la Sharia, la legge islamica, nella rigida
applicazione wahhabita.
Espulso ufficialmente da
Mogadiscio nell’agosto 2011 e dal porto di Kismayo nel settembre 2012, il movimento islamico controlla ancora gran
parte delle zone rurali nel sud del Paese, dove le donne accusate di
adulterio vengono lapidate e ai ladri sono amputate le mani. I suo componenti
allo stato attuale contano 6-7mila affiliati, molti meno rispetto al 2011 quando
i guerriglieri sfioravano il numero di 14.500. Il forte indebolimento è
dovuto soprattutto all’operazione militare Linda
Nchi, lanciata proprio nel 2011 e coordinata tra gli eserciti di Somalia,
Kenya ed Etiopia con l’appoggio di forze armate francesi e statunitensi proprio
contro Al-Shabaab Ma non c’è solo l’applicazione della Sharia tra gli obiettivi
di questo gruppo di terroristi di matrice sunnita.
A livello militare e
strategico l’organizzazione si prefigge l’espulsione
dalla Somalia dei soldati stranieri, in primis quelli etiopi e kenioti. I
miliziani somali seguono la scia di una consolidata tradizione qaedista: il Kenya è stato vittima dell’organizzazione
fondata da Osama bin Laden nel 1996, con l’attentato contro l’Ambasciata
Usa a Nairobi che provocò 212 morti, e nel 2002, nell’attacco dinamitardo
avvenuto contro cittadini israeliani vicino Mombasa che provocò 15 vittime. La
principale fonte di denaro per gli al-Shabab proviene dalle richieste di riscatto
dovute a rapimenti e sequestri. Un’inchiesta del New York Times, condotta nel
2014 dalla giornalista candidata al premio Pulitzer Rukmini Maria Callimachi, stimò
che dal 2008 al 2014 fossero
stati pagati 125 milioni di dollari dai
governi europei ai vari gruppi terroristici per riportarsi a casa i
‘loro’ rapiti. Una vera e propria economia sommersa.