Rav Feivel Cohen è deceduto domenica 20 novembre nella sua abitazione di Lakewood, New Jersey. Aveva 85 anni. Nato a New York era stato uno dei discepoli più vicini a rav Yitzchak Hutner, il Rosh Yeshiva della Yeshiva Chaim Berlin di Brooklyn. Fin da giovane dimostrò un talento speciale nel ramo delle decisioni halachiche, tanto che divenne uno dei più influenti decisori halachici negli Stati Uniti, rispettato anche dai maggiori chakhamim di Eretz Israel e noto pure in Italia. Le sue opinioni sono citate anche nelle opere halachiche di rav ‘Ovadià Yosef, il grande chakham sefardita.
Una delle sue caratteristiche personali era la sua onestà intellettuale e il rispetto per i discepoli. Quando qualcuno durante le lezioni gli poneva una domanda, la esaminava anche se a noi, che partecipavano alla lezione, sembrava poco centrata. In un’occasione un giovane studente di yeshiva italiano in visita pose una domanda critica a un suo commento e rav Feivel Cohen disse che il giovane aveva ragione.
Divenne noto per la sua opera Badè Ha-Shulchan, un commento allo Shulchan ‘Arukh. Nel periodo di quarant’anni pubblicò una serie di volumi sulle regole di purità famigliari, sulla kasherut, sui testamenti e sulle regole del lutto. Questa serie divenne ben presto un best seller con i volumi presenti nelle biblioteche delle sinagoghe e delle yeshivot di tutto il mondo. I suoi commenti ai testi dello Shulkhan ‘Arukh conducono quasi sempre a una decisione halakhica. Quando non era sicuro concluse con “tzarikh iyun” (è necessaria ulteriore analisi).
Lo studio delle fonti talmudiche doveva condurre lo studioso fino alla fine del percorso, cioè la decisione halachica. Così fece nel trentennio nel quale fu alla guida della nostra comunità a Brooklyn, Congregation Tomchei Torah: per le lezioni di Talmud ai membri della comunità scelse trattati e argomenti pratici: Berakhot (benedizioni), Niddà e Mikvaot e Tevillà (regole di purità famigliare), Ghittin (divorzi), Yevamot (la sezioni sulle conversioni), Succà. Dopo lo studio dei testi in diverse occasioni ci furono dimostrazioni pratiche. Nel suo bet ha-kenesset non si poteva parlare durante la tefillà e la regola veniva osservata. Nei suoi discorsi misurava ogni parola.
Circa dieci anni fa disse che la sua salute non gli permetteva di continuare a condurre la comunità e si trasferì a Lakewood nel New Jersey. Fu sempre una persona molto privata: quando una sua decisione halakhica diventò pubblica, un giornalista del New York Times venne a Brooklyn per parlare dell’argomento ma lui rifiutò di aprire la porta. Il suo stile era di insegnare e non di mettersi in luce. Una volta disse negativamente di un noto chakham, il quale dava derashot in vari bate kenesset, che “parla di se stesso”. Nel suo testamento diede istruzioni di non parlare di lui al funerale. Scrisse anche che dopo trenta giorni dalla sua morte potevano citare solo le sue opere ma non parlare di lui.
Che il suo ricordo sia di benedizione.