Ci ha insegnato che si può
combattere per le proprie idee senza alzare la voce, che si possono difendere i
valori condivisi senza sventolare bandiere. La sua voce ferma, gentile, si
accompagnava allo sguardo attento. Prima come giornalista poi come politico,
David Sassoli aveva il dono prezioso di riuscire a combattere per la verità e
la giustizia con garbo. E con la sua scomparsa l’Italia e l’Europa perdono un
gentile combattente sempre fedele alla verità e alle istituzioni.
Dall’inizio della sua professione
giornalistica, all’approdo alla vicedirezione del Tg1, e poi con il suo percorso
politico, che lo ha portato alla presidenza dell’Europarlamento, sono state
molte le occasioni di incontro tra Sassoli e gli ebrei italiani che lo hanno
sempre considerato una persona vicina, un amico con cui condividere temi,
valori e anche problemi.
E fu nell’ultima sua visita
ufficiale alla Sinagoga di Roma, nell’ottobre del 2019 che Sassoli dimostrò
ancora una volta la sua vicinanza alla comunità, alla quale espresse
preoccupazione per un antisemitismo che tornava con più forza e nuove forme in
Europa e che lui definì «la parte peggiore della storia del nostro continente,
un virus molto europeo per cui servono medicine importanti». Non furono parole
di circostanza perché la sua era una preoccupazione sincera che espresse al
Rabbino Capo Riccardo Di Segni e alla Presidente Ruth Dureghello proponendo
soluzioni, “medicine” per curare questa malattia. Sassoli sottolineò il ritardo
dell’Italia nella nomina di un commissario nazionale per l’antisemitismo,
suggerita dal Parlamento europeo nel 2017, e chiese all’allora premier Conte di
darsi da fare, così come per la definizione dell’antisemitismo che per lui
sarebbe dovuto entrare nei codici e regolamenti italiani.
David Sassoli, che è stato anche
membro della delegazione interparlamentare UE-Israele, si indignava davanti
alle manifestazioni di antisemitismo, ed era sempre tra i primi a denunciarle,
anche quando mascherate da antisionismo, come quando segnalò la bandiera
imbrattata di vernice rossa all’Expo di Milano, definendo quell’ignobile gesto come
“la vergogna dell’intolleranza”. Ma la fiducia nelle istituzioni e nella
politica in lui era fondamentale per andare avanti, sempre presente nei suoi
discorsi in cui chiamava le cose con il loro nome, senza sconti, ma con la sua
innata gentilezza. E denunciando, in un periodo particolarmente difficile, le
minacce a esponenti del mondo ebraico e gli attacchi antisemiti alla Senatrice
Liliana Segre, spiegò che bisognava essere attenti, mai indifferenti, e avere
fiducia nella democrazia, la vera medicina per sconfiggere il virus
dell’antisemitismo.