Con l’album ‘Neshama’ Raiz e i Radicanto celebrano il mondo aperto di una tradizione che viene da lontano. La storica voce degli Almamegretta esplora le sue radici, recuperando musiche e poemi paraliturgici (piyut) degli ebrei sefarditi, cacciati dalla Spagna nel 1492 e dispersi poi in tutto il Mediterrraneo. “L’identità sefardita è un vaso di Pandora che contiene tre lingue, ebraico, arabo e il ladino giudeo-spagnolo, e una comunità aperta che si riconosceva non solo nella religione ma nei luoghi che abitava – spiega all’ANSA Raiz – Può essere da esempio di convivenza nel mondo di oggi, dove tornano assurdità come sciovinismo e sovranismo. Sembra paradossale, ma nel medioevo c’era apertura maggiore”. Il senso di compenetrazione si avverte fin da ‘Ygdal/Marlen’, piyut musicato su una canzone dell’israeliano Zohar Argov, un caso di ‘contraffatto’, quando cioè nelle sinagoghe si pregava cantando la melodia di un brano popolare: “In Germania capitava con i canti di Natale, è capitato anche con ‘O sole mio’, e testimonia la grande permeabilità culturale di queste comunità. Il mezzo è la preghiera, ma il fine è la permeazione, essere capaci di accogliere e di confrontarsi. L’identità è un’esperienza personale, un file da riempire, non qualcosa di imposto. Allora, ho voluto inventare un contraffatto anche io, da ebreo nato e cresciuto a Napoli”. Si tratta di ‘El Adon’ cantato da Raiz sulle note di ‘Era de maggio’: “Magari un domani nella sinagoga di Napoli si canterà così – dice Raiz, ricordando poi la sua esperienza personale con l’estatico ‘Adon Haselihot’ – Ci sono legato, perché si canta nello Yom Kippur: è un canto di purificazione che invita a ricominciare, e l’elemento catartico della spiritualità serve anche ai laici”. Su questi testi si muovono i suoni dolci dei Radicanto, tra cui spicca il flauto di Giorgia Santoro, ma non solo: su ‘Astrigneme’, pezzo inedito sulle parole del Cantico dei cantici, interviene la pianista Rita Marcotulli, mentre Mauro Pagani al violino partecipa a ‘Jerusalem’, rilettura acustica della hit di Alpha Blondy: “Mi piaceva l’idea di prendere una melodia reggae che sa di West Africa, creata da un musulmano che parla di Gerusalemme: la musica deve prefigurare mondi possibili di pace”.