Cambiamenti climatici e perdita della biodiversità sono fenomeni ormai ineludibili. Ma siamo ancora in tempo per correggere la rotta ed evitare che le conseguenze del riscaldamento globale producano effetti notevolmente dannosi. Ad affrontare il tema è impegnato il laboratorio di ecologia della Scuola di Scienze Vegetali e di Sicurezza Alimentare dell’Università di Tel Aviv, diretto dal 2001 dal Professore Marcelo Sternberg. Lo studio in questione analizza la manipolazione delle precipitazioni per testare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla struttura e la funzione dell’ecosistema quando esposto a condizioni di siccità estrema e a cambiamenti nei regimi di precipitazioni. Il Professor Sternberg sta attualmente conducendo progetti di ricerca anche con l’Italia, e nel 2021 ha vinto il prestigioso premio cinese “Chang Jiang Chair Professor” della Università di Ningxia per la sua innovativa ricerca sul cambiamento climatico e la desertificazione.
Nonostante il suo deficit idrico, Israele è il paese con il tasso più alto di riciclaggio di acqua al mondo: circa l’85% dell’acqua usata viene riciclata e riutilizzata, soprattutto a scopi agricoli. «Si sta facendo di tutto per massimizzare il consumo dell’acqua nell’agricoltura. Per produrre una tonnellata di grano servono mille tonnellate di acqua, mentre per un kg di avocado servono quasi mille litri di acqua. L’agricoltura consuma molta acqua e in Israele hanno sviluppato tecnologie all’avanguardia per non sprecare acqua quando non ce n’è bisogno».
Un tema molto sentito in Israele riguarda la forestazione del deserto. Il Prof. Sternberg è contrario a tale pratica: «La foresta è la foresta, il deserto è il deserto. Questo è un concetto che è stato equivocato da chi veniva dall’Europa ed era abituato ad un paesaggio verde. Non si capiva l’importanza del panorama desertico, dove si trovano piante adatte a questo tipo di condizioni. Oggi l’uomo dispone di una tecnologia che consente di alterare tutto ciò che desidera. Si può trasformare in foresta tropicale anche il deserto, ma non è sostenibile. Quando cambiamo un sistema naturale con un sistema artificiale vi è il rischio che i cambiamenti possano essere negativi».
Storicamente è emerso un forte nesso tra la desertificazione, escalation di conflitti e fenomeni socioeconomici, come le migrazioni interne di massa. «La popolazione che sarà maggiormente colpita [dal cambiamento climatico] sarà quella più povera, viste le sue scarse capacità di adattamento. Ci sono Paesi senza possibilità economiche, che vivono di pascoli, di pastorizia, che non hanno sistemi di irrigazione come in Israele. Le popolazioni che dipendono al 100% dalle condizioni climatiche e che non hanno le infrastrutture agricole che possono assicurare la produzione di cibo saranno le più colpite. Senza dubbio si creeranno problemi di migrazioni. Una soluzione che potrebbe adottare l’Europa per mitigare il flusso di migranti climatici è di investire in infrastrutture che gli permettano di rimanere lì. Si potrebbero concedere prestiti per sviluppare la tecnologia agricola in loco».
Oltre alla siccità si sta assistendo anche alla tropicalizzazione del Mar Mediterraneo. «In Israele, l’innalzamento della temperatura (fino a 32°C) ha permesso a pesci, alghe, crostacei provenienti soprattutto dal Mar Rosso di entrare nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez,e proliferare. Al contrario, i pesci e le alghe locali sono in netta diminuzione. Anche sulle coste italiane vi saranno grandi cambiamenti che avranno un notevole impatto perfino sull’industria della pesca».
Sternberg evidenzia come l’industria del cibo stia innescando un cambiamento notevole sul pianeta, scegliendo ad esempio di interessare con coltivazioni agricole aree precedentemente occupate da foreste o da un sistema naturale che non era adatto all’agricoltura o alla pastorizia. La scelta di quale cibo consumare è fondamentale per adattarci meglio come società ad un pianeta progressivamente più prono a fenomeni climatici, sempre più estremi in magnitudo e in frequenza.
A tal proposito, il Prof. Sternberg evidenzia l’importanza di consumare meno carne, dato che la terra necessaria utilizzata per l’industria della carne ammonta a un totale globale di 40 milioni di chilometri quadrati – l’equivalente di quasi tutto il continente americano. Il Professore invita anche a ridurre la nostra impronta di carbonio, ad esempio scegliendo di viaggiare di meno: «è importante cercare modelli di sviluppo che abbiano dietro anche una attenzione alla sostenibilità. Dovremmo consumare locale e pensare globale – quando consumiamo una cosa a livello locale possiamo pensare a che tipo di impatto può avere a livello globale».