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    Un libro denso di spunti e riferimenti filosofici, sociologici e psicologici

    Cosa è l’estremismo? Una struttura mentale, comportamentale o entrambe? Ciò che è sicuro è che questo si declina in diversi aspetti della vita di ciascuno di noi: dalla politica alla religione e può facilmente sfociare in violenza e sopruso. L’estremista è chi sposa un’ideologia portandola appunto all’estremo, relegando la razionalità a una posizione marginale. L’estremista è solito additare chi assume posizioni contrarie, ponendolo come altro rispetto a sé.

    “Non nel nome di Dio. Confrontarsi con la violenza religiosa”, scritto da Rav Jonathan Sacks ed edito da Giuntina, è un libro denso di spunti e riferimenti filosofici, sociologici e psicologici che ci aiutano a comprendere meglio ciò che accade intorno a noi. È un’analisi critica del nostro tempo e del nostro modo di agire, attinge a fatti più o meno recenti della nostra storia e tenta di spiegare i meccanismi che sono alla base di alcuni fatti criminosi come gli attacchi terroristici. Utilizzare la religione come giustificazione per le nostre azioni scellerate è intellettualmente e moralmente scorretto. “La violenza (…) ha a che fare con l’identità e la vita nei gruppi. La religione sostiene i gruppi in modo molto più efficace di qualsiasi altra forza. Reprime la violenza all’interno. Insorge di fronte alla minaccia di violenza dall’esterno. Molti conflitti non hanno niente a che fare con la religione, ma hanno a che fare con il potere, il territorio e la gloria, cose secolari, perfino profane. Ma se anche la religione piò essere arruolata, lo sarà”. 

    Queste parole sono lapidarie come altre che si trovano più avanti nel libro. Ci sono almeno due capitoli preziosi: “Capro espiatorio” e “Dualismo”, entrambi fondamentali per comprendere meglio i concetti di antisemitismo ed ebraismo. Spesso viene detto – o meglio, noi diciamo di noi a noi stessi – che gli ebrei sono vittime di antisemitismo, ma non ci soffermiamo sull’analisi della motivazione. Spesso liquidiamo il tutto pensando che gli ebrei vengono disprezzati per alcune loro caratteristiche intrinseche, condite da questioni identitarie e culturali. Se gli ebrei vengono odiati, la colpa è degli antisemiti e non di una supposta predisposizione allo studio e al guadagno – argomento utilizzato più volte sia dagli antisemiti sia dai semiti per spiegare alcune dinamiche -. Questi sono spesso disprezzati non perché appaiono più intelligenti o stupidi rispetto agli altri ma perché sono simili a coloro da cui sono criticati. L’ebreo, come entità, viene odiato perché è parte integrante della società – almeno dal periodo post-emancipazione – ma al tempo stesso ne è parzialmente fuori a causa di alcune peculiarità legate a riti e tradizioni. In questo capitolo emergono l’illogicità e la contraddizione intrinseche all’antisemitismo e più in generale al fenomeno del capro espiatorio. Come causa di tutti i problemi non si prende un animale piccolo e innocuo, come un criceto che non fa male a nessuno, e neppure un leone, perché troppo vigoroso e uno scontro con lui risulterebbe impari. Si prende il capro che gode di una posizione mediana tra i due. L’ebreo si situerebbe nel mezzo, né troppo forte né troppo debole.

    “Dualismo” è interessante per altri motivi. In primis perché ci ricorda come l’ebraismo, e con esso le altre religione monoteiste, siano essenzialmente moniste. Il dualismo è lo spettro del politeismo, è scarsa complessità di pensiero, banalizzazione e divisione settaria tra Bene e Male. L’ebraismo, come il cristianesimo e l’islam, è cosa ben più articolata, in essa risiedono gli opposti ed è dalla loro mescolanza che dobbiamo partire per analizzare il tutto. Chi cede alla tentazione di dividere la realtà in un’entità buona e una cattiva è di solito pigro o in malafede e tende quasi sempre a considerare sé stesso buono e l’altro cattivo. Noi non vogliamo cedere a questa illusione, mendace e pericolosa. Noi vogliamo la complessità, le zone grigie, il bianco e il nero lasciamolo agli estremisti. 

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