In un mondo in continua evoluzione, dove anche i modelli lavorativi, come lo smartworking, sono messi in discussione continuamente e quindi l’impatto sulle nostre vite e carriere è in continuo cambiamento, abbiamo intervistato Raffaela Sadun, docente di Business Administration presso l’Harvard Business School, esperta di gestione d’impresa e del ruolo della tecnologia e della struttura organizzativa sulla produttività a livello aziendale. Sadun è stata membro della task force voluta dal Presidente del Consiglio Conte, per traghettare l’Italia fuori dalla pandemia, ed è stata insignita quest’anno dal Presidente della Repubblica. del titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”.
Smartworking: ricetta ideale per azienda e per dipendenti. Quali sono gli ingredienti che non devono mancare?
Va detto che gli ingredienti si stanno scoprendo in questi mesi e ad oggi non esiste una la ricetta. E’ un problema complicato – tutto dipende dai processi che sono all’interno delle imprese e soprattutto dalla misura dell’azienda stessa. Ad esempio se analizziamo imprese che prima della pandemia lavoravano totalmente in presenza, non concedevano autonomia ai propri dipendenti e non avevano un sistema di digitalizzazione mediamente avanzato, per queste il passaggio è stato uno shock. Esistono, invece altre imprese per cui questo passaggio è stato incrementale, più semplice poiché già organizzate dal punto di vista tecnologico ed organizzativo, aziende che prevedevano già la delega tra i manager ed i dipendenti. Infatti uno dei meccanismi fondamentali è quello di consentire ai lavoratori di dare il loro meglio e di contribuire al lavoro in piena autonomia cosi che possono essere coordinati efficacemente con il lavoro degli altri; per attivare questo meccanismo le aziende hanno dovuto mettere in campo un ulteriore valore, raro e prezioso: la fiducia.
Il fatto che il management durante il periodo pandemico abbia riposto scarsa fiducia nei propri sottoposti è dato dal fenomeno osservato appena scoppiato il Covid, quando le persone hanno dovuto rintanarsi nelle proprie abitazioni per lavorare, in quel momento è esploso l’utilizzo di strumenti di tecnologia di micro management per aumentare il controllo da parte dei manager sugli impiegati.
Vedendo invece l’altra faccia della medaglia, il lavoratore, un ruolo cruciale lo gioca il suo status socio economico: lavorare in smartworking in una casa con più stanze ed attrezzature adeguate, permette di godere di un equilibrio più facilmente gestibile e quindi di lavorare più tranquillamente; ma la stragrande maggioranza dei lavoratori nel mondo non ha potuto godere di tale situazione.
Lo smartworking rischia di aumentare la diseguaglianza tra lavoratori altamente qualificati e quelli meno, o persone di livello manageriali e semplici impiegati. Ultimo ingrediente è quello comportamentale: un lavoratore di successo da remoto, deve saper lavorare in autonomia, saper creare i propri ritmi e non farsi controllare dalla tecnologia; chi invece non riesce a controllare tutto ciò rischia di cadere in isolamento, e non essere produttivo per l’azienda.
Quale sarà il futuro dell’ufficio fisico, come lo ricordiamo?
E’ difficile fare previsioni ma ci potrebbe essere un ritorno negli uffici nel breve termine.
Quello che osserviamo oggi negli Stati Uniti è che la domanda per uffici nei centri urbani è drasticamente crollata – quello che è stato analizzato ad esempio da un mio collega il Prof. Nick Bloom è il cosiddetto “Donut Effect”- rifacendosi alla forma della ciambella americana – i prezzi dei beni immobiliari all’esterno dei centri urbani è cresciuto, questo perché le imprese hanno capito che avere un centro di aggregazione fisico è imprescindibile per la sopravvivenza dell’azienda ma risparmiare sugli affitti è anche esso importante; questo tipo di attività lo stanno facendo solo le imprese molto grandi, le imprese piccole stanno optando per due vie: riaprire l’ufficio centrale o abbandonare del tutto quello fisico, e negli Stati Uniti molte stanno optando per la seconda via.
In che modo le aziende potranno garantire l’ingaggio dei dipendenti nella modalità di lavoro Smartworking passata la pandemia?
L’ obiettivo principe è quello di permettere di far lavorare le persone in autonomia e nel modo più produttivo possibile, nello stesso tempo fare in modo che l’attività del singolo sia integrata nel lavoro del gruppo. Questo è un compromesso molto complicato e difficile per svariate realtà. Ci sono tre attività che le aziende possono perseguire per raggiungere questo obiettivo. Le imprese devono dichiarare chiaramente ai proprio dipendenti gli obiettivi aziendali. Attenzione alla selezione del personale, non tutti sono in grado di lavorare in questa modalità e con una certa autonomia. Terzo punto, fondamentale, i manager non dovrebbero più sorvegliare e monitorare ma coordinare e delegare il lavoro di altri specialisti o esperti.
Esiste il rischio di una delocalizzazione della manodopera, causata dallo smartworking?
Il rischio è concreto. Negli ultimi 20 anni c’è stata una polarizzazione del mercato del lavoro. Da una parte abbiamo professionisti con capacità ed attitudini molto elevate, dove la domanda è esplosa e la compensazione anche, dall’altra abbiamo lavoratori che svolgono attività manuali che non possono essere sostituti dalla tecnologia ma con salari molto bassi. Esiste un trend aggiuntivo, che potrebbe andare ad erodere i posti di lavoro di quelle persone che si trovano nel mezzo, con capacità intermedie e che sono facilmente sostituibili o dalla tecnologia o dalla manodopera a basso costo non specializzata, come ad esempio programmatori. Lo smartworking potrebbe portare ad una rivoluzione in questo senso: se l’azienda X ha la capacità di definire un‘attività, con indicazioni specifiche ad un programmatore che si trova in un paese Y dove il costo della lavoro è nettamente inferiore rispetto a dove l’azienda ha la sua sede, il lavoratore che si trova dove ha sede l’azienda X sarà tagliato fuori poiché sostituibile. Chi invece ha capacità elevate, come coordinare questi tipi di lavoratori, ad esempio un Project Manager, vedrà aumentare il proprio valore aggiunto, e quindi le capacità d’impiego ed il salario. Le occupazioni che vedranno una crescita nei prossimi anni, in uno scenario dove lo smartworking prevarrà, saranno quelle che ricomprendono figure professionali con elevate capacità di coordinamento in specifici ambiti tecnici. L’impatto sociale sulle società, che hanno un costo della manodopera rispettivamente più alto, potrebbe essere devastante, per questo le nazioni occidentali, dovranno lavorare molto sulle politiche attive sul lavoro, per riqualificare i lavoratori a rischio.
In che modo bilanciare la nostra vita famigliare con il new normal?
Parlo per esperienza personale. La pandemia ha pesato molto sul lavoro femminile, le donne hanno preso delle incombenze sia lavorative che famigliari, la speranza è che questo non continui, perché nel caso contrario sarà molto difficile reintrodurre tutte queste persone nel mercato lavorativo. Con il ritorno alla nuova normalità, con le scuole che funzionano e un lavoro dove la gente avrà chiaro che anche se non sei in ufficio, stai lavorando comunque, lo smartworking avrà delle potenzialità enormi, permettendoti di essere genitore, mamma o papà presente a qualsiasi appuntamento importante della vita dei nostri figli. Ma attenzione questi vantaggi ci saranno solo se le persone saranno organizzate dalle aziende, capite dai colleghi di lavoro ed aiutate dall’ecosistema circostante.
Raffaella Sadun parteciperà ad Ebraica Festiva oggi alle ore 20, con Marco Panella, in un panel dedicato proprio al tema dello smartworking: “Soli o ben accompagnati? Lavoro, socialità e rigenerazione economica”