Di fronte a un fatto di gravità e durezza inaudite è difficile esprimere un punto di vista in qualche modo ebraico che non si riduca al solito elenco di “derive inarrestabili” e “gravi ritardi nell’educazione alla solidarietà e all’antirazzismo”. E non perché gli ebrei siano custodi di valori etici e di memorie che miracolosamente li esentano dal crimine e dalla violenza, bensì perché quando a restare offeso è ciò che dovrebbe tutti accomunarci, ovvero il senso di umanità, le appartenenze individuali e collettive perdono di significato. Preferisco quindi ricordare un grande scrittore cattolico: “…la rabbia contro pericoli oscuri, che, impaziente di trovare un oggetto, afferrava quello che le veniva messo davanti…”. Rabbia contro pericoli oscuri, e certamente immaginari. Parole terribili di Alessandro Manzoni, nella sua introduzione alla “Storia della Colonna Infame” (1842), il breve saggio storico dedicato al processo del 1630 contro i cosiddetti untori e alle false confessioni estorte con la tortura. Per tentare qualche riflessione utile sul delitto nella via principale Civitanova, in ora di shopping e passeggio, occorre innanzitutto liberarsi dai moralismi del giorno dopo e dal male della banalità, che ormai insidia tutti i commentatori di eventi spaventevoli. A voler partire dai fatti, la realtà è scarna e non equivocabile. Un venditore ambulante nigeriano chiede a due passanti, un uomo e una donna, di acquistare la consueta, semplice merce che tutti conosciamo. La richiesta è insistente. La coppia si allontana, poi l’uomo torna sui propri passi, prende la stampella alla quale si appoggia l’africano, che è invalido, e lo colpisce ripetutamente. La vittima è in terra, e l’aggressore lo immobilizza. L’aggredito muore. I passanti filmano con il telefonino, senza intervenire. Uno dei presenti chiama le forze dell’ordine, e segue il responsabile finché non viene arrestato in flagranza di reato. Il video finisce sui social. L’etica dei talk show dilaga, si creano le consuete squadre contrapposte, però sono in pochi quelli che si domandano “Ma io cosa avrei fatto di fronte a un energumeno pronto a tutto e chiaramente fuori di sé?”. E comunque, c’era la possibilità di formare rapidamente un gruppo di persone capaci di agire, visto che il nigeriano è morto in pochi minuti? Molti di noi, compreso chi scrive, rispondono “certo ci avrei provato e mi sarei beccato la mia dose di botte, o peggio”. Però sono al computer e non vedo energumeni nella stanza. Si scopre poi che l’aggressore soffre di disturbi psichici seri e diagnosticati, che ha segnalazioni precedenti, che si è trasferito nelle Marche per lavorare come operaio e proviene da una città del meridione. Una doppia diversità per una società che ormai non ama né tollerarle né risolverle. Due immigrati in una città che si esige tranquilla, uno è africano, l’altro ha disturbi che lo inducono a esplosioni di rabbia. Adesso le ha sfogate contro un uomo di altro colore, invalido, povero. E lo ha ucciso. Ne vediamo a sufficienza per aspettare la tradizionale polemica contro la Legge 180 di Franco Basaglia che nel 1978 avviò in Italia la chiusura dei lager impropriamente chiamati manicomi, e poi il sistema sanitario non seppe dotarsi degli strumenti necessari per fronteggiare la malattia psichiatrica. Da notare anche che per mesi tutte le reti TV ci hanno inondato, intermezzandole con alluvioni di pubblicità, di immagini di guerra e stragi, di corpi e fosse comuni, di primi piani di scarponi militari abbandonati e tute da combattimento… Che avevano contenuto arti umani. L’orrore è una droga molto pesante, e provoca assuefazione. In certi salotti televisivi e in certe redazioni si fatica a rendersene conto.