Nella parashà è scritto: “Stai attento al mese di Avìv quando farai [il sacrificio di] Pèsach all’Eterno tuo Dio poiché l’Eterno tuo Dio ti ha fatto uscire dall’Egitto nel mese di Avìv di notte” (Devarìm, 16:1). Avìv corrisponde al mese di Nissàn e al segno dello zodiaco dell’ariete (talè), un animale adorato dagli egiziani (cfr. traduzione aramaica di Onkelos, Bereshìt, 43:32).
Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta : “Prima del suo arrivo stai attento che il mese cada in primavera per poter fare l’offerta dell’omer (una misura del nuovo raccolto di orzo), altrimenti proclama un anno bisestile”.
R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 349) scrive che la necessità di stare attenti al mese di Avìv era uno dei motivi per i quali si aggiungeva un mese al calendario in modo che cadesse in primavera. Una testimonianza è fornita dalla seguente lettera di Rabbàn Gamlièl citata nel Talmud babilonese: “Ai nostri fratelli nell’esilio di Babilonia e a quelli in Media e a tutti gli altri esuli d’Israele: che possiate avere grande pace per sempre. Vi informiamo che gli uccellini sono ancora teneri, gli agnelli ancora troppo giovani e i raccolti non sono ancora maturi. Ed io e così pure i miei colleghi riteniamo appropriato aggiungere trenta giorni all’anno in corso” (T.B., Sanhedrin, 11b).
R. Barukh Halevi Epstein (Belarus, 1860-1941) in Torà Temimà, spiega che è risaputo che i figli d’Israele contano i mesi e le feste secondo le fasi della luna e non sulla base delle rivoluzioni solari. Questo perché è scritto “questo mese (chòdesh) sarà per voi il primo dei mesi” e la parola “chòdesh” deriva dalla radice chdsh che denota rinnovamento. E sappiamo che solo la luna si rinnova e non il sole.
La lunghezza del mese [lunare] è di 29 giorni, 12 ore e 793/1080 di ora e se moltiplichiamo per dodici risultano 354 giorni, 8 ore e 876/1080 di ora. Poiché il mese dev’essere composto di giorni completi, vengono alternati i mesi con 29 giorni e quelli di 30 giorni per un totale di 354 giorni. L’anno solare è di 365 giorni e pertanto ogni anno si crea una differenza di 11 giorni tra anno solare e anno lunare. Se le nostre feste dipendessero solo dalle fasi lunari, questa differenza farebbe sì che Pèsach e Sukkòt cadrebbero qualche volta in estate e altre volte in inverno.
Poiché ci è stato comandato di far sì che le feste cadano in certe stagioni, Pèsach in primavera, Shavu’òt con il raccolto del frumento e Sukkòt con la vendemmia, per poter fare corrispondere gli anni solari con quelli lunari i maestri hanno stabilito di aggiungere, quando necessario, un mese al calendario, e pertanto circa ogni tre anni il calendario ebraico ha tredici mesi. Poiché nel mese di Adàr si può prevedere se il sucessivo mese di Nissàn cadrà in primavera o meno, quando deve essere aggiunto un mese lo si fa con un secondo mese di Adàr. In questo modo il mese di Nissàn, e quindi la festa di Pèsach, cade come prescritto nella Torà in primavera.
Tutto questo valeva fino a quando i capi mese e gli anni bisestili venivano stabiliti dal Sinedrio sulla base delle rilevazioni del novilunio. Nel quarto secolo dell’Era Volgare per via delle persecuzioni dei bizantini che abolirono il Sinedrio, venne stabilito un calendario fisso che usiamo fino ad oggi.
R. Naftali Tzvi Yehuda Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia), in Ha’amèk Davàr, scrive che così come nel mese di Avìv la natura si rinnova, in modo analogo nello stesso periodo avverrà la redenzione del popolo d’Israele.