Il faraone aveva fatto un sogno e nessuno alla corte era stato in grado di interpretarlo. Venuto a sapere che Yosef aveva interpretato i sogni dei suoi due ministri, il faraone fece liberare Yosef dalla prigione per interpretare il suo sogno. Yosef gli disse che il sogno era un’indicazione che l’Egitto sarebbe stato soggetto a sette anni di raccolti abbondanti seguiti da altrettanti anni di carestia. Detto questo Yosef aggiunse: “Or dunque si provveda il Faraone d’un uomo intelligente e savio e lo metta al comando sul paese d’Egitto. Faraone faccia così: nomini dei commissari sul paese per prelevare il quinto del raccolto del paese d’Egitto durante i sette anni dell’abbondanza. Essi ammassino tutti i viveri di queste sette buone annate che stanno per venire, e accumulino il grano a disposizione di Faraone per l’approvvigionamento delle città, e lo conservino. Questi viveri serviranno da riserva per il paese, in vista dei sette anni di carestia che verranno nel paese d’Egitto; e così il paese non perirà per la carestia” (Bereshìt, 41: 33-36).
Alcuni commentatori osservano che il faraone aveva chiesto a Yosef di interpretare il sogno e non di dargli consigli su cosa fare.
Secondo R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 305), i consigli di Yosef erano indispensabili e facevano parte dell’interpretazione del sogno. Il faraone avrebbe potuto ignorare questa parte dell’interpretazione del sogno che gli fece Yosef. Avrebbe potuto godersi i sette anni di abbondanza senza curarsi di quello che sarebbe successo più tardi. Dopo tutto il faraone e l’aristocrazia del paese non avrebbero sofferto per la carestia. Per questo Yosef avvertì il faraone che senza prendere misure preventive, l’Egitto sarebbe stato distrutto perché “un popolo affamato fa la rivoluzione”. Per evitare una situazione del genere era quindi necessario prendere immediati provvedimenti. Il consiglio di Yosef piacque al faraone che nominò Yosef vicerè con il compito di organizzare la conservazione del grano e il razionamento per gli anni della carestia. Con questa nomina il faraone diede a Yosef anche il nome Tzafenàt Pa’nèach.
Qual è il significato di questo nome? Onkelos (Eretz Israel, I sec. E.V.) traduce in lingua aramaica: “L’uomo al quale i misteri sono svelati”. Rashì (Troyes, 1040-1105) scrive: “Interpreta i misteri”.
Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) cita R. Avraham ibn ‘Ezra (Tutela, 1089-1167, Calahorra) che nel suo commento afferma che se Tzafenàt Pa’nèach è una parola in lingua egiziana, egli non ne sa il significato; e se è una traduzione in ebraico dall’egiziano, non sappiamo quale fosse il nome che il faraone diede a Yosef. Secondo i maestri che composero il testo della tefillà Nishmàt Kol Chai che si recita di Shabbàt dove è scritto che l’Eterno vede le cose nascoste [mefa’anèach ne’elamìm, dove la parola mefa’nèach ha la stessa radice di pa’nèach] è possibile che il faraone, che conosceva la lingua di Canaan, abbia dato a Yosef un nome onorevole nella sua lingua. Nachmanide aggiunge che la cosa non deve sorprendere perché anche la figlia del faraone chiamò Moshè, “Moshè” con un nome ebraico.
R. David Kimchi detto Radak (Narbona, 1160-1235) nel suo commento, afferma invece che Tzafenàt Pa’nèach è un nome egiziano. E dice che una cosa simile la fece Nevukhadnetzàr quando diede nomi aramaici a Dàniel e ai suoi compagni (Dàniel: 1:7). A Dàniel diede il nome Beltshatzàr; a Chananyà, Shadràkh; a Mishaèl, Meshàkh; a Chananià, ‘Avèd Negò. Senza una risposta chiara alla domanda, dobbiamo lasciare “ai posteri l’ardua sentenza”.