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    Parashà di Mass’è. Perché la Torà elenca le tappe degli israeliti nel deserto?

    La parashà di Mass’è inizia con l’elenco delle tappe percorse dagli israeliti durante i quarant’anni nel deserto fino all’arrivo nella pianura di Moàv con queste parole: “Queste sono le tappe degli israeliti che uscirono dalla terra d’Egitto, organizzati in gruppi, sotto la guida di Moshè e di Aharòn. Moshè scrisse i loro punti di partenza, tappa per tappa, per ordine dell’Eterno; queste sono le loro tappe nell’ordine dei loro punti di partenza” (Bemidbàr, 33:1-2).

    Rashì (Troyes, 1040-1105) nel suo commento chiede per quale motivo era necessario scrivere tutte le quarantadue tappe del percorso degli israeliti. Egli risponde che questa lista è stata scritta per mostrare la benevolenza dell’Eterno perché se si escludono le quattordici tappe nel primo anno e cinque dopo la morte di Aharon, per trent’otto anni vi furono solo venti tappe. E non è vero che vagarono continuamente nel deserto.  

    L’argomento appare anche nella Guida dei Perplessi (III, capitolo 50) del Maimonide (Cordova, 1138-1204). All’inizio del capitolo egli scrive che vi sono dei passi nella Torà che hanno confuso molte persone ed è opportuno spiegarli. Sono racconti che a prima vista non hanno alcuna utilità, come l’elenco dei discendenti di Noach e i nomi delle terre dove andarono ad abitare; o  l’elenco dei discendenti di Se’ir il chorita e dei re che regnarono nella terra di Edom e così via.

    Dopo avere spiegato il motivo di questi passi, il Maimonide spiega per quale motivo la Torà elenca le tappe degli israeliti nel deserto. Egli afferma che questo elenco è di grande importanza perché i miracoli sono cosa certa solo per coloro che li hanno visti, mentre nel futuro la loro storia diventa solo un racconto tradizionale ed è possibile che chi lo sente non creda che sia vero […].

    Uno dei più grandi miracoli della Torà è la permanenza di Israele nel deserto per quarant’anni e la presenza quotidiana della manna. Quel deserto è descritto nella Torà come luogo dove vi erano “Serpenti, rettili infocati e scorpioni, aride lande dove non si trova acqua” (Devarìm, 8:15). Era molto lontano dalle terre coltivate e innaturale per l’uomo.  Era descritto come “Non luoghi da seminare, da uva, da fichi e melegrane” (Bemidbàr, 20:5) e anche “Terre nelle quale non è mai passato nessuno” (Geremia, 2:6). E nella Torà è anche scritto “Non avete mangiato pane né bevuto vino e altre bevande alcoliche” (Devarìm, 29:5).

    Tutti questi sono miracoli evidenti e l’Eterno sa che è possibile che qualcuno nel futuro li metta in dubbio come si dubita di tutti racconti. La gente potrebbe  pensare che la permanenza [degli israeliti] avvenne nel deserto in prossimità di aree coltivate dove era possibile sopravvivere. Come le aree desertiche abitate oggi dagli arabi o come quelle dove si può arare e seminare o anche cibarsi di piante locali, o anche un deserto dove la manna scendeva sempre naturalmente, o in aree dove vi erano sorgenti d’acqua. Con questi racconti vengono rimossi tutti i dubbi. I miracoli sono confermati elencando le tappe dei loro viaggi, in modo che la gente possa rendersi conto di quanto grande sia stato il miracolo che degli esseri umani siano riusciti a vivere in quei luoghi inabitabili per quarant’anni […].

    Inoltre, conclude il Maimonide, il motivo di tutti questi dettagli è di eliminare l’opinione che avevano allora e che alcuni hanno fino ai nostri giorni, che gli israeliti vagavano nel deserto senza sapere dove andare ed erano “disorientati” (Shemòt: 14:3). Così oggi gli arabi chiamano quel deserto “Al-tih” e pensano che gli israeliti si fossero perduti per la strada. Per questo la Torà spiega e puntualizza che tutte quelle tappe […] avvennero tutte sotto la guida divina. 

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