Con la parashà di Beshallàch inizia il racconto del viaggio degli israeliti nel deserto. Ma già nel terzo versetto della parashà il racconto è interrotto da un fatto che appare di secondaria importanza: “E Moshè prese con sè le ossa di Yosef poiché questi aveva fatto giurare i figli d’Israele prima di morire dicendo loro: Iddio si ricorderà di voi e allora voi trasporterete le mie ossa da qui con voi” (Shemòt: 13:19).
Rashì (Troyes, 1040-1105) citando un midràsh, commenta: “Aveva fatto giurare: Li fece giurare che facessero giurare i loro figli. E per quale motivo non fece giurare i propri figli che lo portassero subito nella terra di Canaan così come aveva fatto Ya’akòv? Yosef si rendeva conto che essendo stato viceré d’Egitto aveva avuto la possibilità di farlo. I suoi figli invece non avrebbero ricevuto l’autorizzazione degli egiziani per farlo. Per questo li fece giurare di portarlo fuori quando sarebbero stati redenti”.
R. Moshè Feinstein (Belarus, 1895-1986, New York) in Daràsh Moshè commenta che il versetto succitato sembra che riduca l’importanza della mitzvà di Moshè perché da esso si può capire che era obbligato a prendere con sé le ossa di Yosef a causa del fatto che gli israeliti avevano giurato che non avrebbero lasciato l’Egitto senza farlo. Ma se Moshè aveva fatto solo il suo dovere, per quale motivo i maestri (Mishnà, Sotà, 1:9) dicono che per merito di questa mitzvà Moshè ebbe l’onore di essere sepolto dall’Eterno? Bisogna quindi spiegare che lo scopo di questo versetto non è quello di insegnarci qualcosa sulla mitzvà di Moshè, ma piuttosto di insegnarci quale fu il motivo per cui Yosef meritò che le sue ossa fossero portate fuori dall’Egitto proprio da Moshè.
Yosef non aveva mai certamente sospettato che le generazioni future sarebbero state così ingrate da ignorare le sue ultime volontà. Ma se Yosef era così sicuro di potersi fidare di loro perché aveva bisogno di farli giurare? R. Feinstein spiega che Yosef era così umile che non avrebbe mai pensato che il suo popolo gli dovesse essere grato per quello che aveva fatto. Dopo tutto era stato mandato in Egitto per disegno divino. Proprio per questa sua umiltà pensò che fosse necessario fare giurare il popolo d’Israele di seppellirlo nella terra di Canaan. E come ricompensa per la sua umiltà Yosef ebbe l’onore di avere le sue ossa trasportate personalmente dal grande liberatore, Moshè, del quale la Torà dice che non vi fu un uomo più umile e che forse imparò ad essere umile proprio da Yosef. Per questo i maestri (Sotà, 20b), giocando sulla parola ‘atzamòt, ossa, offrono un’altra lettura dalle stesse lettere, ‘atzmùt, che significa essenza, per accennare al fatto che Moshè non solo prese le ossa ma anche l’essenza di Yosef, la sua umiltà. E così lungi da diminuire il valore della mitzvà di Moshè, questo versetto viene a sottolineare la grandezza di Yosef.
R. Chayim Yosef David Azulai (Gerusalemme, 1724-1806, Livorno) in Penè David, citando un midràsh scrive che i figli d’Israele non si occuparono delle ossa di Yosef perché dissero che era un compito del più grande di loro, cioè di Moshè. Così mentre gli israeliti andarono a chiedere agli egiziani oggetti d’oro e d’argento (Shemòt, 12:35) Moshè si occupò di prendere le ossa di Yosef e così facendo fece vedere di essere il più grande di tutto Israele. Come si riconcilia questa azione con il fatto che Moshè era il più umile di tutti gli uomini? A questo proposito i maestri citano il versetto dei Proverbi che “il saggio di cuore prende le mitzvòt” (Mishlè, 10:8) per insegnare che se l’umiltà conduce a non fare delle mitzvòt, l’obbligo di compiere una mitzvà mette l’umiltà in secondo piano.