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    Parashà di Beha’alotekhà: il rispetto per maestri, genitori e suoceri

    Moshè disse all’Eterno che sarebbe stato in grado di guidare il popolo che faceva richieste irragionevoli. L’Eterno rispose di radunare settanta uomini tra gli anziani d’Israele e di portarli alla tenda del convegno dove Egli avrebbe dato loro parte dello spirito profetico di Mosè. Così essi avrebbero potuto sopportare insieme con Mosè il carico del popolo.

    Moshè aveva un dilemma: come si potevano selezionare settanta anziani senza scontentare nessuna delle dodici tribù? Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega che ogni tribù selezionò sei anziani per un totale di settantadue. Moshè preparò una scatola con settantadue biglietti. Su settanta era scritto “anziano”. Due biglietti furono lasciati in bianco. Ognuno degli anziani prese un biglietto e il risultato fu che dieci tribù ebbero sei anziani ciascuna e due tribù cinque. I settanta anziani così selezionati ricevettero una temporanea ispirazione profetica. I due che avevano estratto  biglietti in bianco, di nome Eldàd e Medàd, non erano andati con gli altri alla tenda del convegno ed erano rimasti nell’accampamento dove sorprendentemente profetizzarono senza interruzione.

    A questo punto “Un giovane corse ad annunciarlo a Moshè e disse: «Eldàd e Medàd profetizzano nell’accampamento». Yehoshua’, figlio di Nun, servitore di Moshè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Moshè, mio signore, falli cessare»” (Bemidbàr, 11: 27-28). Nel trattato Sanhedrin (17a) uno dei maestri afferma che Eldàd e Medàd avevano profetizzato che  Moshè sarebbe morto e che Yehoshua’ avrebbe condotto il popolo nella terra d’Israele!

    R. David Meldola (Livorno, 1703-1793, Amsterdam) in Darkè David, spiega che Yehoshua’ aveva sospettato che Eldàd e Medàd fossero pazzi o falsi profeti. Yehoshua’ pensava che se questi due fossero andati verso la tenda del convegno seguendo gli altri settanta, non sarebbe stato strano che avessero profetizzato. Ma che lo facessero pur essendo rimasti nell’accampamento era inconcepibile. Yehoshua’ non poteva credere che durante la vita di Moshè ci potessero essere altri che ricevessero il dono della profezia direttamente dall’Eterno [e il fatto che avessero detto che lui, Yehoshua’ avrebbe condotto il popolo nella Terra d’Israele dimostrava che erano proprio pazzi]. Per questo motivo Moshè rispose: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo dell’Eterno e volesse l’Eterno porre su di loro il suo spirito!” (Bemidbàr: 11:27-29).

    R. Barùkh Halevi Epstein (Belarus, 1880-1941) cita il trattato Sanhedrin nel quale è insegnato che chi chiama il proprio maestro per nome è un “epicureo” [perché gli manca di rispetto trattandolo come un compagno]. Egli commenta che dal passo succitato si impara che se si fa precedere la parola “mio signore” al nome del maestro la cosa è permessa. Egli tuttavia cita R. Shabbetai Hakohen (Lituania, 1621-1662, Moravia) che nel suo commento allo Shulchàn ‘Arùkh scrive che in presenza del maestro non è neppure permesso chiamare il maestro per nome facendolo  precedere dalle parole “mio signore”. R. Epstein spiega che il caso della nostra parashà è un’eccezione. Il motivo della proibizione di chiamare il maestro per nome anche se preceduto da “mio signore” è che si mostra di avere un’altro maestro e questo è mancanza di rispetto. Tuttavia poiché nel deserto non c’era altro maestro che Moshè, Yehoshua’ non commise nessuna trasgressione. Nello Shulchàn ‘Arùkh (Y.D.,240:2) è anche citata la proibizione di chiamare i genitori per nome. E questo vale anche per i suoceri (ibid., 240:24).

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