In queste ore stanno facendo molto rumore le esternazioni del presidente del Senato, Ignazio La Russa, e della presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, relativamente alla storia del Movimento Sociale Italiano. Un partito che, secondo Meloni, ha avuto un ruolo “importantissimo” nella storia democratica della Repubblica e che “è stato chiarissimo sulla lotta all’antisemitismo”.
Sul ruolo importantissimo del MSI si può discutere, mentre sul lungo viaggio che ha portato i nostalgici della Repubblica sociale italiana, o almeno la loro dirigenza, a condannare il fascismo, soprattutto a causa dell’antiebraismo, come il “male assoluto”, non ci può essere alcun dubbio. La “svolta” di Fiuggi e il viaggio in Israele di Gianfranco Fini non hanno lasciato ambiguità. L’ambiguità rimane, però, quando si vuole dimenticare il passato e non si vogliono tagliare definitivamente le radici di un partito che nasce per rivendicare l’esperienza storica del fascismo repubblicano, quel fascismo “sociale” che ha scatenato la guerra civile nel 1943, e che ha collaborato scientemente e entusiasticamente alla Shoah. Ma soprattutto quando si vogliono dimenticare le esperienze di quegli uomini che hanno fondato e diretto il partito per decenni.
Giorgio Almirante è il caso più conosciuto. Amatissimo leader del partito per decenni, era stato redattore della “Difesa della razza”, e poi ebbe un ruolo di rilievo nella RSI come capo gabinetto del ministero della Cultura popolare. Ma pensiamo a Pino Romualdi, vicesegretario nazionale del Partito fascista repubblicano nel 1945 e poi fondatore del MSI. Ma poi altri personaggi di rilievo della RSI, come i giornalisti Giorgio Pini, Concetto Pettinato e Bruno Spampanato, tutti personaggi che durante l’occupazione nazista pubblicavano giornali che ospitavano la propaganda antiebraica della Repubblica. Nel dopoguerra nessuno di questi ha rinnegato la propria esperienza, anzi: nelle memorie e nelle opere di rievocazione storica prodotta dagli ambienti neofascisti non vi è una parola, non dico di pentimento, ma almeno di dubbio rispetto alla persecuzione degli ebrei. Sono queste le radici “culturali” del Movimento sociale italiano. Non è un caso che il processo di rielaborazione della memoria storica dell’antiebraismo sia stato così complicato, non è un caso che ancora nel 1962 giovani missini abbiano tentato di “assalire” l’ex ghetto di Roma. Non è un caso che ci siano voluti decenni perché il fascismo fosse definito il male assoluto.
Se è giusto guardare al futuro, soprattutto per una leader come Meloni investita di enormi responsabilità, non si può però rinnegare così facilmente il proprio “album di famiglia”, ignorando quelle pagine e quelle immagini troppo imbarazzanti o edulcorandone la storia.