di Sara Milano
Due anni fa la mostra “Ludwig Pollak. Archeologo e mercante d’arte”, organizzata a Roma nelle due sedi del Museo Ebraico e del Museo Barracco, presentava con cura e dovizia di documenti, dipinti e opere marmoree la vita e l’intensa attività professionale di Ludwig Pollak (Praga 1868 – Auschwitz 1943). Si riscopriva così il ruolo fondamentale di questo acclamato studioso nella storia del collezionismo internazionale e nello studio delle antichità. Lunedì 1 febbraio, le curatrici Olga Melasecchi, direttrice del Museo Ebraico di Roma, e Orietta Rossini, responsabile dell’Archivio Storico Capitolino, hanno ripercorso insieme la mostra durante una conversazione in diretta streaming, facendo immergere il pubblico nel contesto storico e culturale, quello tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, in cui Pollak esercitò la sua professione di archeologo, collezionista e mercante d’arte e raccontandone nuovamente le imprese. Sono così emerse non solo le diverse relazioni personali e professionali che Pollak aveva con altri illustri collezionisti e studiosi dell’epoca tra cui Giovanni Barracco, Carl Jacobsen, Emanuel Löwy e Sigmund Freud, ma anche il clima culturale e i cambiamenti che si respiravano in alcune tra le più importanti città europee come Praga, Vienna, Roma fino a Gerusalemme.
Pollak, nato a Praga e conseguiti gli studi a Vienna, si trasferisce a Roma nel 1893 e qui vivrà fino alla tragica deportazione ad Auschwitz, insieme alla moglie e i suoi figli, il 16 ottobre 1943. Alla fine dell’Ottocento Roma è una città molto importante per la presenza di prestigiosi centri di studi, scavi archeologici e, di conseguenza, un ricco mercato antiquario. Come spiega Orietta Rossini, “Pollak ha una carriera rapidissima. Questa sua capacità di applicare la filologia al reperto archeologico, alla sua lettura e interpretazione, restituendolo a un’epoca specifica, fa sì che egli non sia solo un grande archeologo, ma che possa diventare anche un grande mercante. Egli infatti riconosce il valore di un ritrovamento, gli dà un nome, lo classifica, gli dà una provenienza e una datazione, lo valorizza e poi lo può rivendere. Siamo intorno al 1895 e le leggi sono tali che questo è perfettamente lecito”. In particolare, si deve a Pollak una nuova lettura del famoso gruppo scultoreo del Laocoonte Vaticano. È il 1903 quando – girando per botteghe di antiquari e scalpellini come era solito fare – nota e acquista un braccio marmoreo ripiegato e ha una formidabile intuizione, che si tratti cioè del braccio originale da attribuire alla figura del Laocoonte, il cui restauro cinquecentesco aveva invece aggiunto un braccio disteso secondo il gusto dell’epoca. Lo studioso donerà il pezzo ai Musei Vaticani e sarà il primo ebreo non convertito a ricevere la Croce di Commendatore dal Papa.
Pollak diventa, dunque, interlocutore autorevole di grandi collezionisti e direttori museali dell’epoca tra cui Edmond de Rothschild, John Marshall, agente acquirente per il Metropolitan Museum di New York, e Wilhelm von Bode, fondatore del Kaiser-Friedrich-Museum a Berlino (nel 1904), solo per citarne alcuni.
In occasione della mostra nel 2019, al Museo Ebraico è stato messo in luce anche un altro aspetto della vita di Pollak, forse più intimo, relativo al suo profondo legame con l’ebraismo e il sionismo, come testimoniano diversi passaggi dei suoi Diari e la collezione di judaica da lui posseduta. Purtroppo, racconta Olga Melasecchi, di quest’ultima non si hanno notizie dettagliate: non è stato ritrovato alcun elenco tra le pagine dei suoi scritti, né tanto meno nell’inventario post mortem. Nei suoi Diari Pollak fa solo un accenno alla sua collezione di judaica quando annota di aver visitato il Museo Ebraico di Praga, al quale desidera donare una parte di questa collezione, cosa che purtroppo non accadrà per le sorti tragiche a cui andrà incontro. Scrive invece più volte di un altro manufatto prezioso da lui acquistato a Roma nel 1908: si tratta di una Haggadà spagnola del XIV secolo, oggi conservata presso il Jewish Theological Seminary di New York. Durante i suoi viaggi porta spesso con sé questa raffinata opera miniata per mostrarla a diversi studiosi e collezionisti, fino a quando, intuite le difficoltà che gli ebrei avrebbero vissuto nei tempi futuri, decide di depositarla in una banca svizzera, sperando di consegnarla in seguito a David Prato, rabbino capo di Roma negli anni 1937 e 1938 e in seguito dal 1945 al 1951, a cui era legato da una stretta amicizia e da comuni ideali sionisti.
L’incontro di lunedì ha offerto l’occasione, inoltre, di leggere diversi passi dai Diari di Pollak, per la maggior parte ancora inediti. Le curatrici hanno così dato voce a pagine toccanti della sua vita, tra ricordi d’infanzia praghese e riflessioni più personali, oltre alla crescente preoccupazione e angoscia per l’avvento del fascismo negli anni Venti, il colpo di Stato di Hitler e le orribili persecuzioni contro gli ebrei.
È possibile rivedere tutti gli incontri organizzati dal Museo Ebraico di Roma sui canali social.