Come tutti sanno molto bene, ogni mese il catalogo di Netflix viene aggiornato con una quantità assurda di titoli che vengono o pubblicizzati su ogni social media possibile oppure passano in sordina, e vengono trovati quasi casualmente da chi cerca per ore un titolo da vedere. È questo il caso di “Solo il Diavolo lo sa” documentario sotto forma di miniserie divisa in cinque puntate di poco meno di un’ora ciascuna.
La miniserie racconta quello che è stato uno degli ultimi processi contro un criminale nazista, quello di Ivan il Terribile.
Ma chi era Ivan il Terribile? Conosciuto anche come il “Boia di Treblinka e Sobibor” fu uno delle guardie addette delle camere a gas più crudeli di cui si ha conoscenza, infatti rimase impressa nella memoria di quei pochi sopravvissuti che ebbero la possibilità di testimoniare la malvagità incarnata da quell’uomo che godeva nel torturare e mutilare quelle persone già destinate alla morte certa delle camere a gas. Il diavolo in persona.
La figura di questo terribile assassino fu associata ad un ordinario nonno di origini ucraine, che da decenni viveva tranquillamente nella città di Cleveland, John Ivan Demjanjuk, che negli anni Ottanta, dopo essere stato riconosciuto da alcuni sopravvissuti, venne estradato in Israele per quello che sarebbe stato uno degli ultimi processi contro uno dei peggiori criminali di guerra nazisti ancora in vita. Un processo che durò anni, dove tra prove documentali e testimonianze dei sopravvissuti di Treblinka, una delle peggiori fabbriche di morte, venne prima condannato a morte per l’uccisione di più di 800mila persone, e poi venne assolto dalla Corte Suprema israeliana visto che il rischio di mandare a morte un innocente per uno scambio di persona era diventato troppo alto, a seguito del ritrovamento di alcuni documenti sovietici dopo la caduta del Muro.
Tornò in libertà, nella disperazione di un popolo intero, che aveva la possibilità di fare giustizia e condannare uno dei peggiori criminali della Storia, riuscire a vendicarsi sul male personificato.
Dopo quasi vent’anni, all’età di 91 anni John Demjanjuk venne di nuovo messo alla sbarra in Germania a seguito di altre prove documentali, condannandolo con oltre 28mila capi d’accusa come collaboratore allo sterminio. Morì prima della condanna definitiva rimanendo quindi quasi del tutto impunito per quanto fece durante la Shoah.
La sentenza della Corte Suprema fece scalpore, ma quanto era giusto rischiare di mandare a morte un innocente? I dubbi sulla sua reale identità era troppi per mandare alla forca un individuo, dove la sua identità era difficile da confermare contro ogni ragionevole dubbio.
Ma quello che preoccupa di più e su cui vengono puntati i riflettori è il fatto che non solo i paesi sudamericani collaborarono nel nascondere criminali nazisti, ma anche negli Stati Uniti, dove a centinaia di criminali nazisti venne dato asilo e fatti sparire nel nulla impuniti per le loro atrocità perché collaboratori anticomunisti, dove in casi più eclatanti vennero addirittura considerati eroi americani, come nel caso di Wernher von Braun, padre del progetto Apollo.