In questa parashà viene raccontato dell’incontro tra Ya’akòv e il fratello gemello Esau. Al ritorno da Charàn, Ya’akòv era stato inseguito dal suocero Lavàn che era pronto a fare una carneficina se non fosse stato per un sogno nel quale l’Eterno gli disse di non fare del male a Ya’akòv (Bereshìt, 31:24). Ora, Ya’akòv doveva affrontare un secondo e peggiore pericolo.
Nel Midràsh Pirkè de-Rabbi Eli’ezer (cap. 37) viene citato un versetto del navì (profeta) ‘Amòs dove è scritto: “Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso (5:19). Il testo di questomidràsh prosegue dicendo che “Il leone è Lavàn che inseguì Ya’akòv «per rubarne l’anima». L’orso è Esau che si trovava per la strada come un orso inferocito pronto a uccidere madri e figli. Il leone ha il senso del pudore, mentre l’orso non ce l’ha”. Ya’akòv aveva paura di Esau. E nel midràsh è detto a questo proposito: “Da qui [i maestri] hanno detto di non avere paura di un uomo che controlla e comanda, ma solo di un uomo che non ha timore del Cielo”.
Nel commento a questo midràsh di R. Avrahàm Aharòn Broyde, pubblicato nell’edizione di Lemberg (Lwow) del 1864, l’autore scrive: “Lavàn aveva il senso del pudore nei confronti del Benedetto perché parlando con Ya’akòv usò l’espressione “Il Dio dei vostri padri la scorsa notte mi detto di stare attento a non parlare con Ya’akòv né in bene né male” (Bereshìt, 31:29). Lavan aveva timore […] ma Esau non aveva alcun timore di Dio”.
R. Ya’akòv Yosèf di Polnoye (1710 -1783) che fu il principale discepolo del Ba’al Shem Tov, nella sua opera Toldòt Ya’akòv Yosèf, cita ilMaimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) che nell’introduzione al Mishnè Torà, nell’elencare le 613 mitzvòt della Torà, nella lista delle mitzvòt proscrittive (n. 58), scrive: “I combattenti non devono avere timore e non devono impaurirsi davanti al nemico durante la battaglia perché nella Torà è detto: «Non temete, non vi smarrite e non vi spaventate dinanzi a loro…»” (Devarìm, 20:3). R. Ya’akov Yosef fa notare che il patriarca Ya’akòv osservava tutte le mitzvòte se aveva timore di Esau significa che non osservò la mitzvàdi non avere paura del nemico.
Su questo argomento R. Ya’akòv Yosèf cita il provenzale R. Avrahàm Bar David di Posquieres (1125-1198), detto Ravad dalle sue iniziali che, in una sua glossa alla lista del Maimonide sostiene che il Maimonide non doveva contare l’intimazione di non avere paura del nemico perché il versetto “È una promessa e non è un avvertimento”. Inoltre R. Ya’akòv Yosèf chiede come sia possibile legiferare e proibire di non avere paura quando una persona non ne ha controllo. Egli risponde citando il Ba’al Shem Tov (Polonia, 1698-1760) che disse (se abbiamo capito bene la citazione), che è possibile non sentire la paura eliminando ogni pensiero estraneo e, per cosi dire, attaccarsi al Santo Benedetto. Infatti grazie alla successiva tefillà (preghiera) Ya’akòv eliminò il suo timore.
Nonostante l’obiezione di R. Avrahàm Bar David, l’autore del Sèfer ha-Chinùch (Barcellona, XIII secolo), che elenca e commenta le 613 mitzvòt, riporta la mitzvàdi non impaurirsi in battaglia seguendo l’opinione del Maimonide. Egli scrive: “Che non dobbiamo smarrirci e avere timore dei nemici durante la battaglia, né fuggire davanti al nemico; ma è nostro obbligo prevalere su di loro e farsi forza […]. La base di questa mitzvà è che ogni israelita deve porre la propria fiducia nel Benedetto e non avere timore per se stesso […] e durante la battaglia non bisogna pensare alla moglie, ai figli, alle proprietà e concentrarsi solamente a combattere a pensare che le vite di tutto Israele dipendono da lui”.