Skip to main content

Ultimo numero Settembre – Ottobre 2024

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    Il saluto del rabbino capo Riccardo Di Segni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

    Signor Presidente, autorità, amici, 

    Il cuore di ogni sinagoga, la casa ebraica di preghiera, è l’Aròn, l’armadio che poco fa abbiamo aperto e chiuso, e nel quale sono riposti i rotoli della Torà. La Torà scritta è il Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia, scritto a mano da un esperto calligrafo su rotoli di pergamena. È un oggetto prezioso che custodiamo e trattiamo con la massima cura e attenzione, e orniamo di tessuti e metalli preziosi, in ogni luogo secondo la propria tradizione, una tradizione che in questa comunità, nel corso dei secoli, ha raggiunto vertici artistici unici. La Torà è l’essenza della nostra storia, della nostra vita e della nostra fede. Si dice che ogni lettera, ogni spazio vuoto, ogni vocale anche non scritta in quel rotolo rappresenti un singolo individuo della comunità. Siamo tutti presenti, singolarmente e collettivamente in quel testo. La Torà non rimane chiusa nell’armadio. Viene periodicamente estratta, portata in mezzo al pubblico con solennità, aperta, esposta, letta e spiegata. È al centro delle nostre liturgie.

    Proprio l’altra settimana abbiamo letto dall’ultimo libro della Torà (Deut. 31:19) una frase dettata da Mosè poco prima di morire: “e ora scrivetevi questa cantica”. Nella interpretazione dei Maestri la cantica è l’intera Torà e questa frase è un precetto rivolto a ogni ebreo: scriversi una nuova copia della Torà. Anche se qualcuno la copia ce l’ha già, per esempio l’ha ricevuta in eredità, deve scriversene un’altra, nuova. C’è un motivo tecnico dietro a questa regola: i libri si logorano nel tempo, le pergamene si consumano, le scritte si cancellano e per questi vanno sostituiti con copie nuove, mentre i vecchi vengono riposti e sepolti. Ma il motivo più importante è un altro. Il testo è sempre lo stesso, ma deve essere continuamente rinnovato da ciascuno di noi in ogni generazione e ognuno se lo deve sentire suo. Per questo agli ebrei non piace chiamare la Torà con il nome di Antico testamento. Perché se è vero che è antico, anzi antichissimo, è anche sempre nuovo, vitale e attuale. Un tempo i libri si copiavano a mano, poi c’è stata l’invenzione della stampa, e gli ebrei romani hanno il vanto di essere stati i primi nella storia a stampare un libro ebraico, per poi vederselo bruciato in Capo de’ Fiori: perché se si vuole colpire gli ebrei ancora prima delle persone si tenta di bruciarne l’anima. Ma non ci si riesce, perché se la carta brucia le lettere volano via. Dai tempi della stampa per osservare l’antica regola basta acquistare un libro nuovo stampato.  Ma il modo originale di osservanza resta valido e importante. Perché il libro della Torà scritto a mano su pergamena è insostituibile per la liturgia ed è il testimone della sacralità della tradizione. Per questo è molto meritorio commissionare la scrittura di un nuovo rotolo e donarlo alla Sinagoga; è un segno di continuità, fedeltà e vitalità. 

    Nella circostanza che ricordiamo oggi, il dono di un nuovo rotolo della Torà a questa Sinagoga dedicato alla piccola vittima dell’attentato si arricchisce di significati. Ricordando il terribile insulto di 40 anni fa noi vogliamo affermare il nostro legame con i valori rappresentati da quel libro, la costruzione contro la distruzione, la civiltà contro la barbarie, la legge contro la sopraffazione, il rispetto contro l’offesa, la speranza contro la disperazione, la vita contro la morte.

    Signor Presidente

    In altre circostanze ho ricordato una scena tristissima a cui ho assistito personalmente il giorno dei funerali del piccolo Stefano. Stavo con altri rabbini nella camera mortuaria davanti alla bara bianca, quando arrivò il presidente Pertini che scoppiò in un pianto a dirotto. Ho commentato altrove questa scena. La cito qui, perché questa è una casa di preghiera e desidero esprimere una preghiera in cui tutti ci identifichiamo.

    Che il presidente della Repubblica non debba più piangere per una giovane vita spezzata. Che il presidente possa invece poter piangere di gioia o sorridere vedendo bambini come quelli che l’hanno accolto qui con calore, bambini che crescono serenamente, educati su valori positivi, speranza per il nostro futuro.

    CONDIVIDI SU: