Verso casa è il racconto di un’epopea lunga, talvolta dolorosa che vede il suo prologo in Russia e il suo punto d’approdo in Israele, tra gli agrumeti del kibbutz Afikim.
Più che biografia personale, questo libro è biografia di un luogo. Vero protagonista del romanzo è il kibbutz, emblema dell’identità ebraica del Novecento.
Al centro del racconto un gruppo di ragazzi che lascia la Russia alla volta dell’allora Palestina con l’obiettivo di fondare una società più equa di quella europea.
Raccontarne la storia significa parlare dalle premesse che ne resero possibile la fondazione: le riunioni del Movimento a Mosca, i treni siberiani, l’emigrazione. Il kibbutz – sinonimo di lavoro condiviso – è cambiato negli anni, e Inbari lo testimonia con un pizzico di acredine in questo racconto che ha molto del romanzo storico. Il kibbutz ha accolto sopravvissuti ai lager, alla guerra e ha ospitato bambini piccoli rendendoli uomini. Una casa che non è sempre stata ospitale, e che ha richiesto impegno e costanza prima di essere definita tale. Gli uomini che la abitano hanno talvolta ceduto alla nostalgia della vita passata, forse più comoda, ma più fredda e sbagliata. Da esperimento socialista il kibbutz non resiste al fascino esercitato dal benessere e finisce per essere privatizzato. È qui che l’autore mostra il proprio disappunto. Tradotto da Shulim Vogelmann e Rosanella Volponi per Giuntina questo libro parla di un’epoca, di un luogo e degli uomini che meglio l’hanno impersonati. Buona lettura.