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    Il “morbo di K”. Quando nel 1943 all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma fu inventata un’epidemia per salvare vite umane

    In un momento storico in cui le parole “morbo” ed “epidemia” sono all’ordine del giorno, la mente ritorna a quel tragico anno del 1943, quando, e sembra quasi ironico, un’epidemia salvò decine di ebrei italiani dalla deportazione.

    Parliamo del “Morbo di K” una malattia inventata durante la Seconda Guerra Mondiale dal Medico Adriano Ossicini e dal Dott. Giovanni Borromeo, per salvare gli ebrei dalle persecuzioni e impedire che fossero deportati nei campi di concentramento.

    Ossicini, che lavorava all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma, a pochi passi dal Ghetto, iniziò a compilare le cartelle cliniche dei suoi pazienti ebrei, facendo riferimento a questa malattia contagiosissima, il “Morbo di K” (dove la indicava l’iniziale degli ufficiali nazisti Kesselring e Kappler), così da dissuadere i nazisti dal controllare i nomi dei pazienti.

    La nuova malattia divenne così “pericolosa” che fu allestito un reparto isolato, in cui vennero ricoverati ebrei e polacchi sotto falso nome, in attesa di ricevere documenti falsi per poter fuggire, dopo esser stati dichiarati morti con i loro veri nomi, in modo che nazisti e fascisti non potessero più cercarli.

    Durante il rastrellamento del Ghetto di Roma il 16 Ottobre 1943, quando migliaia di ebrei furono arrestati e mandati nei campi di concentramento, alcuni di questi trovarono rifugio all’Ospedale Fatebenefratelli, dove i medici Borromeo, Ossicini e Vittorio Emanuele Sacerdoti, li dichiararono affetti da Morbo K, impedendo così ai tedeschi di avvicinarli.

    Dalla firma dell’Armistizio dell’8 settembre 1943, il Fatebenefratelli faceva parte del territorio vaticano: nonostante ciò nessuno si oppose all’operato dei tre medici, bensì l’Ospedale divenne un luogo di rifugio per i fuggitivi partigiani ed ebrei.

    Persino i frati non si opposero, bensì aprirono l’ospedale ai perseguitati: in particolare uno di loro, fra Maurizio Bialek rimane impresso nella mente di Gabriele Sonnino, che all’età di 4 anni si nascose con la sua famiglia al Fatebenefratelli: «Vivevamo come fossimo in una bolla: ci sentivamo al sicuro ma al contempo prigionieri, anche nel modo di essere salvati», racconta Gabriele in un’intervista, ma i giorni di quel bambino nell’Ospedale all’Isola Tiberina rimangono sempre  «custoditi nel cuore e sono pieni di gratitudine, soprattutto per la figura di fra Maurizio Bialek».

    Nel 2004 il Museo Yad Vashem ha riconosciuto Giovanni Borromeo come Giusto fra le Nazioni, per aver salvato cinque membri della famiglia Almajà-Ajò-Tedesco.

    Nel 2016 all’Ospedale Fatebenefratelli è stato conferito da parte della Fondazione Raoul Wallenberg il titolo di “Casa di vita”, per ricordare il contributo dell’Ospedale ad aver salvato decine di ebrei dalla deportazione.

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