“Tra di noi non c’è nessun legame, non c’è adesso e non c’era prima, non c’è sentimento, solo un uomo e una donna che non si sopportano più!”
“Non è vero!”, si dibatté Tziprovitch come una farfalla agonizzante, “io ti amo!”
“E io no!”, rispose per farlo infuriare.
Un’espressione di sofferenza e depressione si dipinse sul volto del contabile nel momento in cui chiese, non per rabbia, ma veramente per capire: “Perché?”
Grazie alla recente iniziativa editoriale di Einaudi, anche il lettore italiano può finalmente leggere il romanzo di Aharon Reuveni In principio, confusione e paura, la cui edizione originale risale esattamente a cento anni fa. L’efficace traduzione di Luca Colombo, che ha curato anche un apparato di note esaustivo, è introdotta dalla prefazione di Elena Loewenthal, traduttrice e scrittrice di lungo corso, che fa il punto sugli albori della letteratura ebraica moderna e la relazione inscindibile di questa con l’ebraico moderno e con il progetto sionista. Al centro del romanzo la figura di Tziprovitch, grigio contabile gerosolimitano di origine russa da includere nella galleria di inetti che comprende tanti personaggi della letteratura del secolo scorso. Menia, che con Tziprovitch rompe la relazione sentimentale nel passo citato, rappresenta tutto quello che il contabile non è: solare al punto da sembrare bella, capace di scegliere di fronte ai bivi imposti dall’esistenza senza pensarci troppo su, sana, decisa a vivere anziché macerarsi nella costante incertezza, nella malattia, nel dubbio di fare la cosa giusta. Intorno a Menia e Tziprovich, si animano i numerosi volti che compongono la redazione del periodico “La Strada”, presso cui il contabile è impiegato. Ed è proprio dalle discussioni infinite tra intellettuali, giornalisti e redattori che parlano con convinzione l’ebraico vecchio nuovo di Ben Yehuda con marcato accento russo, che emerge il significato del titolo di questo libro. La confusione e la paura sono il tohu vavohu delle origini, quando il sionismo nella Palestina ottomana era una giovane pianta esposta ai rovesci tremendi del Secolo breve. La vicenda narrata è ambientata nel 1914, proprio quando in Europa milioni di uomini corrono ad affrontarsi e a morire nelle trincee e i sionisti non sanno se e con chi schierarsi: la Turchia ottomana controlla ancora la regione ma potrebbe perdere la guerra, come in effetti accadrà; la Russia è il Paese natale della maggior parte degli ebrei sionisti, ma è anche la terra dei pogrom; l’Inghilterra sembra più sensibile ai diritti degli ebrei, ma ha enormi interessi coloniali ed è vuole mantenere buone relazioni con le classi dirigenti dei paesi arabi circostanti. Una scelta possibile è infine l’abbandono del sogno sionista e della Terra d’Israele.
Le accanite discussioni tra gli ebrei russi di Gerusalemme sul sionismo, la guerra, il futuro della presenza ebraica in Palestina tra concretezza, sogno e utopia danno la percezione di un clima intellettuale che ha segnato un’epoca e una cultura. I ritratti di questi uomini di lettere e d’idee non hanno però nulla dell’idealizzazione romantica e della finzione oleografica ma, abbozzati nel dialogo, prendono vita e parola nel segno del realismo. A connotarli non sono solo le idee che esprimono, ma quelle rivalità, difetti, piccinerie, imbarazzi di cui il protagonista Tziprovitch è il massimo rappresentante.