Sono molteplici le finalità pratiche sottese alla richiesta di un certificato, ma una le ricomprende tutte: fermare su un pezzo di carta un dato di fatto la cui verità viene congelata nel tempo.
Il caso che invito a considerare è però molto atipico. Mi riferisco alla richiesta di un certificato fatta da un cittadino ferrarese ebreo al tempo delle leggi razziali.
Il documento di cui parlo, insieme ad altri correlati, è oggi conservato presso il Centro di Documentazione del Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara.
La lettera che invito a considerare è datata 14 novembre 1940 ed era stata inviata al Regio Istituto del Risorgimento Italiano, Comitato di Ferrara. Proveniva da un cittadino di origine ebraica e chiedeva di certificare che tre antenati del richiedente risultavano iscritti all’albo d’onore custodito presso il Regio Istituto; l’Albo attestava che i tre cittadini erano accorsi volontari in difesa della patria nei moti risorgimentali dell’anno 1859.
La certificazione del contributo dato da questi tre cittadini di origine ebraica ai moti risorgimentali del nostro paese richiama alla memoria un articolo frutto di meticolose ricerche d’archivio scritto del compianto mio concittadino Prof. Davide Mantovani : l’articolo ci racconta, fra le altre cose, i tanti nomi dei cittadini ebrei italiani, e ferraresi in particolare, che si sono offerti alla causa risorgimentale, pagando talora anche a prezzo della propria vita la nascita dello Stato italiano.
Tornando al caso concreto, adottato come spunto per le mie riflessioni, invito a spostare l’attenzione in particolare sul soggetto pubblico autore della certificazione che appunto è il Regio Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano (d’ora in avanti chiamato Regio Istituto). La certificazione, come ogni certificazione, è un atto privo di qualunque discrezionalità, basato su una semplice verifica documentale di registri che il Regio Istituto detiene. Ad esito della richiesta il certificato è poi regolarmente emesso in favore dei richiedenti ed è conservato tra i documenti dell’archivio.
Può sembrare che non ci siano ulteriori motivi di interesse in questa vicenda, ma invito a considerare la singolare posizione nella quale si trova in questo periodo il Regio Istituto alla luce di una serie di altri documenti molto interessanti che il medesimo archivio conserva.
Siamo nel 1940, in pieno vigore delle leggi razziali. Sotto queste leggi il Regio Istituto si rivela essere l’organo di regime che più di altri disvela una palese contraddizione: non può negare la verità storica del ruolo svolto dai tre cittadini ebrei nella formazione dello Stato italiano, ma al contempo, per effetto delle leggi razziali, deve degradare i discendenti di questi cittadini, per il solo fatto di essere ebrei, a cittadini declassati; privati di quei diritti discendenti dall’appartenenza a quello Stato che i loro antenati avevano contribuito a formare anche a caro prezzo.
Dal 1938 in avanti le leggi razziali producono l’emanazione di concreti provvedimenti amministrativi emessi dagli organi deputati ad applicarle. Il Regio Istituto della Storia del Risorgimento è una diramazione dello Stato chiamata ad emanare taluni di questi provvedimenti. Come si legge in una comunicazione dell’ente in data 22 novembre 1938, rinvenuta nello stesso contenitore d’archivio, i soci ebrei dal 16 ottobre del 1938 cessano di farne parte in applicazione delle note leggi. Ugualmente sono colpiti dal provvedimento di estromissione i funzionari del medesimo ente. L’Avvocato Renzo Ravenna, evita una destituzione clamorosa rassegnando dimissioni, più o meno volontarie, dalla carica podestarile immediatamente prima dell’adozione delle leggi razziali. In conseguenza di tali dimissioni lascia anche la presidenza del Comitato locale del Regio Istituto che aveva ricoperto in virtù della carica podestarile (lettera a firma di R.Ravenna del 21 marzo 1938, conservata tra le stesse carte d’archivio). Dichiara nella stessa lettera citata che dopo dodici anni di servizio confida di poter almeno continuare a dare il suo contributo in qualità di semplice socio; ma come detto neppure la carica di semplice socio è risparmiata dai provvedimenti razziali.
Il Regio Istituto è depositario di una memoria storica non tanto lontana nel tempo, quella del travagliato percorso di unificazione nazionale; un percorso sofferto, più che mai vivo ed emotivamente sentito nella percezione di un popolo ancora giovane nella sua identità nazionale unitaria.
Come porsi rispetto a questo recente passato è un elemento che il Regime deve aver considerato attentamente e il Regio Istituto ha il compito anche di dare attuazione agli indirizzi emanati dal regime.
Il fascismo emana di sé un’immagine che non vuole certo porsi come elemento di discontinuità rispetto al processo storico risorgimentale. Quanto sia sentita questa professione di continuità con il risorgimento e quanto invece sia calcolo politico, non mi compete dire; di sicuro permette al regime di consolidare e volgere a proprio vantaggio una forte presa sul sentimento popolare che al risorgimento è ancora profondamente legato.
Questo spiega l’intento dichiarato dal regime a più riprese di saldare la propria immagine con quella del processo risorgimentale; anche le carte dei documenti ufficiali conservati nel contenitore esaminato ne danno ripetuta conferma.
In un documento dattiloscritto del Comitato di Ferrara del Regio Istituto, emanato nel giugno 1936, come in altri documenti successivi, è ripetuto pedissequamente questo semplice concetto: il risorgimento deve essere inteso come naturale presupposto della rivoluzione fascista.
Si afferma anche a chiare lettere che il Regio Istituto deve indirizzare i suoi studi verso questa forma di rappresentazione della storia risorgimentale.
Questo è il quadro, ma mentre si dipinge questa versione irrompono nella rappresentazione le leggi razziali dal 1938, le quali cancellano dalla dignità e dai diritti della cittadinanza italiana una cospicua parte di quei protagonisti il cui sacrificio dovrebbe per coerenza essere ritenuto anch’esso “il naturale presupposto della rivoluzione fascista”.
Le leggi hanno molto potere sulla vita degli uomini, e gli effetti dolorosi di quelle razziali sono risaputi. Più difficile è che la legge possa anche riscrivere la storia della nazione, perché la memoria storica è un’entità generata e tramandata in molti modi, anche imperscrutabili, ma certo non per decreto.
L’Italia è di tutti quelli che l’hanno voluta, e soprattutto di quelli che per averla voluta hanno messo a rischio la propria vita, eppure il regime, mentre dichiara di essere un’emanazione degli ideali risorgimentali, colpisce ferocemente proprio tanti cittadini italiani che hanno nelle memorie di famiglia il sacrificio offerto a quella causa.
Il Regio Istituto è un organo del regime e, mentre adempie all’obbligo di espellere soci e dirigenti ebrei, al contempo custodisce una storia “scomoda” che non si può cancellare; così emette su richiesta il certificato che deve alla verità storica un rispetto più alto di quello che deve al regime: Levi Anselmo, Levi Cesare, Levi Graziano, sono iscritti nell’albo degli eroi risorgimentali. C’è un volto del risorgimento che non si può cancellare, portatore di una domanda pesante: come potevano i moti risorgimentali avere nel cuore la gestazione di un regime destinato poi ad abbattersi contro tante famiglie che il risorgimento lo avevano fatto?
La contraddizione si agita più che mai evidente in queste carte prodotte dai funzionari amministrativi dell’Istituto negli stessi concitati giorni. E ora sono riposte l’una accanto all’altra nella visitabile memoria di un archivio.