Da 174 anni i valdesi celebrano il 17 febbraio in ricordo del riconoscimento dei loro diritti civili da parte del Re di Sardegna, Carlo Alberto. È una festa sentita con particolare solennità nelle Valli valdesi del Piemonte, dove il 17 febbraio ha assunto il carattere di festa civile e religiosa: da un lato i cortei con le fanfare e i falò notturni, in memoria di come, di valle in valle, si diffuse la notizia delle concesse libertà, dall’altro i culti celebrati nei diversi templi.
Shalom ha incontrato Alberto Corsani direttore di “Riforma”, l’organo di informazione delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia e gli ha posto alcune domande.
Il 17 febbraio 1848 i valdesi ottennero da Carlo Alberto l’emancipazione, quale fu l’importanza di questo evento e quale l’attualità delle Lettere Patenti?
L’emancipazione sancì per i valdesi delle valli piemontesi la possibilità di godere dei diritti civili e politici. “Nulla è però innovato – precisava il testo – quanto all’esercizio del loro culto ed alle scuole da essi dirette”. Non era ancora la libertà religiosa, a cui si arriverà più tardi. Ma presto fu costruito un tempio a Torino, e via via la presenza valdese si allargò nel resto d’Italia, con fervore anche nel Risorgimento. Noi diciamo che il 17 febbraio non è “festa dei valdesi”, ma una festa di libertà di tutti i concittadini e concittadine.
Quali sono i settori e le iniziative di maggiore impegno?
La prima priorità è il patto fra Dio e le persone umane, in continua dialettica con il Patto stabilito nella Scrittura ebraica. Poi vi è però l’attenzione per la società e per i più deboli: infanzia, anziani, le nuove emergenze, in particolare il dramma di chi è costretto a lasciare la propria terra e rifugiarsi in terra europea. Il servizio che i credenti e le credenti si rivolgono vicendevolmente e agli altri è loro richiesto dalla sequela del loro maestro Gesù Cristo. Questo servizio (diaconia) avviene a volte in sinergia con organismi che uniscono più chiese (come la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia) e in maniera ecumenica, come nel dei “corridoi umanitari” per un ingresso legale nel nostro Paese. Ma fin da quel 1848, vi fu l’attenzione per l’istruzione, già ben coltivata quando i valdesi erano ristretti nel loro “ghetto alpino”. Poi, l’apertura dei templi in Italia, andò di pari passo con l’attivazione di scuole, e questo è forse uno dei terreni in cui si vede una analogia con le Comunità ebraiche.
Esistono progetti condivisi con gli ebrei?
Molto impegno è stato profuso congiuntamente in ordine alla laicità: laicità della scuola, delle Istituzioni. Una tensione che spesso ci ha visti affiancati. Ci avvicina anche l’attenzione alla memoria, che ha un’origine biblica con il ricorrere del verbo “ricorda”: una indicazione rivolta anche a noi.
Quali sono gli approfondimenti che più le stanno a cuore come direttore di Riforma?
Ho la preoccupazione di cercare sempre nuovi linguaggi per continuare, insieme alla comunità di chi ci legge, a rendere attuale la nostra fede nel Dio della Bibbia e della storia. Un discorso sempre più difficile, in una cultura che ritiene di avere in mano completamente il proprio destino – i temi della bioetica stanno lì a ricordarcelo.
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Foto @ Riforma/Pietro Romeo.