R. Avrahàm ibn ‘Ezra ( (Tudela, 1089-1167, Calahorra) nel suo commento al libro di Shemòt, che compose mentre abitava a Lucca (commento al secondo versetto del capitolo 12), scrisse: “R. Yehudà HaLevi, di onorata memoria, mi domandò per quale motivo [nella Torà] è scritto «Io sono l’Eterno tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto» invece di [essere scritto] «[Io sono l’Eterno tuo Dio] che ti ha fatto e ha fatto il cielo e la terra»”?
R. Yehudà HaLevi (Toledo, 1075-1141, Gerusalemme?) nella sua opera Kuzari tenne conto della risposta di R. Ibn ‘Ezra. Il Kuzari è un immaginario dialogo tra un saggio ebreo e il Re dei Khazari (che si convertì all’ebraismo). Nel corso del dialogo il saggio ebreo disse al Re: “Quando Moshè parlò per la prima volta con il faraone, e gli disse che il Dio degli ebrei lo aveva mandato, si riferì al Dio di Avrahàm, di Yitzchàk e di Ya’akòv. Questo perché a quei tempi era ben noto tra le genti che Dio aveva comunicato con questi personaggi, li aveva guidati e aveva fatto per loro miracoli. Da notare che Moshè non aveva detto che era stato mandato «dal Dio del cielo e della terra», né aveva detto «Colui che ha creato tutti noi». In modo simile quando Dio parlò per la prima volta al popolo ebraico [al Monte Sinai] affermò «Io sono l’Eterno tuo Dio che ti ha fatto uscire dall’Egitto» invece di affermare «Io sono il creatore tuo e dell’universo»” (Ha-Kuzari, 1:25) [perché tutti erano stati presenti all’uscita dall’Egitto].
R. Avrahàm ibn ‘Ezra aveva dato a R. Yehudà HaLevi una risposta molto più elaborata, della quale presentiamo un riassunto: “Devi sapere che tra coloro che hanno fede nell’onorato Nome, vi sono livelli diversi. Molte persone hanno fede sulla base di quello che hanno imparato dai loro maestri. Coloro che sono più colti hanno fede sulla base di quello che hanno letto nella Torà data dal Nome a Moshè. Ma se un eretico negasse l’esistenza della divinità, si metterebbero la mano sulla bocca perché non saprebbero come rispondere. D’altra parte, coloro che si dedicano allo studio delle scienze, che sono come dei gradini per assistere una persona ad arrivare a destinazione, sono in grado di riconoscere l’opera di Dio nei metalli, nelle piante, negli animali e nello stesso corpo umano […]. Da quello che Dio fa [nella natura] chi usa l’intelligenza può arrivare a rendersi conto dell’esistenza di Dio […]. Questo è il motivo per cui nel primo comandamento l’Eterno menzionò «Io sono l’Eterno tuo Dio», [Colui che puoi conoscere dalla natura]. Tuttavia questo può essere compreso solo da persone che sono assai sapienti […]. Tutti invece videro i miracoli in Egitto, sapienti e meno sapienti, grandi e piccoli […]. Per questo motivo nella Torà è scritto prima «Io sono il tuo Dio» per i più sapienti e poi «Che ti ho fatto uscire» in modo che anche coloro che non hanno sufficienti capacità intellettuali lo possano capire”.
R. Daniel Korobkin (USA, 1964-) attuale presidente del Rabbinical Council of America e curatore della più recente edizione in inglese del Kuzari (New York, Feldheim Pub., 2009) scrisse che l’approccio di R. Ibn ‘Ezra è quasi l’opposto di quello di R. Yehudà HaLevi. Quest’ultimo afferma che la più elevata forma delle conoscenza divina è l’esperienza dei miracoli d’Egitto e della rivelazione del Sinai. Ibn ‘Ezra sosteneva invece che è uno spreco dell’intelletto se una persona non si rende conto della presenza divina, riconoscendola dalle cose del mondo. Questo approccio di tipo filosofico è anche seguito dal Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) che nel secondo capitolo del Mishnè Torà, dove tratta della mitzvà di amare e di avere timore dell’Eterno, scrive che per arrivare all’amore per il Creatore bisogna osservare le Sue meravigliose creazioni e vedere in esse la Sua infinita saggezza.