di Donato Grosser
Il patriarca Ya’akòv (Giacobbe) uscì di fretta da Beer
Sheva’ su sollecitazione della madre Rivkà per evitare l’ira del fratello
gemello Esaù che aveva detto che lo avrebbe ucciso non appena il padre Yitzchàk
sarebbe morto. Sulla strada per andare a Haràn dallo zio Lavàn (Labano), arriva
in un “posto” dove si ferma a pernottare. I maestri insegnano che quel “posto”
era il Monte Morià dove re Davide avrebbe costruito il Bet Ha-Mikdàsh
(Santuario) a Gerusalemme. Durante la notte Ya’akòv sogna “Ed ecco una scala
che è posata sulla terra e la cui cima raggiunge il cielo; ed ecco che angeli
di Dio salgono e scendono; ed ecco che le Presenza divina gli si rivela in una
visione profetica e gli dice: Io sono Dio di tuo padre Avrahàm e di Yitzchàk,
la terra sulla quale stai giacendo la darò a te e alla tua discendenza. E la
tua discendenza sarà come la polvere della terra e ti estenderai a occidente e
ad oriente, al settentrione e al meridione, e tutte le famiglie della terra
saranno benedette grazie a te e alla tua discendenza…” (Bereshìt, 28, 12-14).
Rashì (Francia, 1040-1104) nel suo
commento scrive che gli angeli di Eretz Israel salivano e quelli della Diaspora
scendevano per accompagnare Ya’akòv. R.
Eliyahu Toren z’l (Polonia-Gerusalemme) per spiegare il commento di Rashì, disse che quando una persona deve viaggiare, anche prima
di partire pensa già alla sua destinazione. Ya’akòv era ancora in Eretz Israel
eppure già allora gli angeli della Diaspora erano scesi a incontrarlo.
R. Chayim Yosef David Azulai (Gerusalemme,
1724-1806, Livorno) in Penè David scrive che in ebraico la parola scala,
“sulàm”, ha lo stesso valore numerico
(ghematrià) di “mamòn” (denaro). È un’allusione al fatto che il Santo Benedetto
manda avanti il mondo come una scala: c’è chi sale e si arricchisce e c’è chi
scende e si impoverisce. Inoltre la parola “sulàm”
ha anche il valore numerico di “Sinai” (dove venne ricevuta la Torà) e di “la-mas” (tributario). Questo allude
all’elevazione che i figli d’Israele raggiunsero al Monte Sinai e
all’abbassamento durante l’esilio. R. Azulai aggiunge che Ya’akòv andava a
Haràn per sposare una delle cugine, figlie di Lavan. E questa è un’allusione al
fatto che, come insegnano i maestri, la ricchezza o la povertà di un uomo
dipende dalla moglie, perché una famiglia è benedetta solo per merito della
moglie.
R. David Forhrman paragona il passo
della scala di Ya’akòv con quello della Torre di Babele. Il messaggio del sogno
della scala di Ya’akòv era che Ya’akòv e i suoi discendenti avrebbero fatto
scendere la benedizione e gli insegnamenti divini dal cielo alla terra. I
ribelli che iniziarono a costruire la Torre di Babele volevano invece portare
l’influenza della terra fino al cielo. Quando Ya’akòv partì da Beer Sheva’ era
solo. Quando tornò da Haràn ed arrivò in Eretz Israel, egli aveva già dodici
figli che sarebbero diventati capi di dodici tribù. Prima della partenza da
Beer Sheva’ il padre Yitzchàk lo aveva benedetto dicendo “Dio Onnipotente ti
benedica, ti faccia fruttificare e faccia sì che tu diventi una congregazione
di popoli. E dia la benedizione di Avraham a te e alla tua discendenza così che
tu possa ereditare il paese dove abiti che Iddio ha dato ad Avraham” (Bereshìt, 28: 3-4). Al suo ritorno,
quando si congedò da Lavan, anche quest’ultimo gli diede una benedizione
(ibid., 32:1). E tornato in Eretz Israel Ya’akòv incontrò nuovamente degli
angeli: “E Ya’akòv proseguì per la sua strada e angeli di Dio gli vennero
incontro. E Ya’akòv disse: questo è un accampamento (machanè) di angeli, pertanto chiamò quel luogo Machanàim” (ibid,
32:2-3). Quando Ya’akòv era solo gli angeli scendevano dal cielo. Ora al suo
ritorno Ya’akòv non è più solo. È diventato un popolo e gli angeli sono di
fronte a lui come per simboleggiare che i valori divini che erano scesi dal
cielo con una scala ora sono stati assorbiti da Ya’akòv che è pronto a
adempiere alla sua missione sulla terra. Ora Ya’akòv può iniziare a portare la
benedizione a tutte le famiglie della terra.
I
maestri insegnarono che “il nostro patriarca Ya’akòv non è morto”. Qual è il
significato di questa affermazione? Rav
Israel Belsky (Brooklyn, 1937-2016) spiegò che Ya’akòv non è morto perché
il patriarca Ya’akòv dopo aver generato dodici tribù non era più un individuo
ma un popolo. L’individuo muore, ma il popolo di Ya’akòv, Israel, vive per
sempre.