Nel “Yom Sheminì”, nell’ottavo
giorno, terminarono i giorni dell’inaugurazione ufficiale del Mishkàn, il tabernacolo, il santuario
mobile che accompagnò gli israeliti
nel deserto per altri trentotto anni fino a quando entrarono nella Terra
Promessa. Dopo avere offerto i korbanòt,
i sacrifici prescritti per l’occasione, è scritto: “Ed Aharon alzò le braccia
verso il popolo e li benedisse e discese dopo avere fatto il sacrificio per
l’espiazione del peccato, l’olocausto e i sacrifici di pace. Poi Moshè ed
Aharon entrarono nella tenda di riunione, ne uscirono e benedissero il popolo,
ed allora la gloria dell’Eterno apparve a tutto il popolo” (Vaykrà, 9:22-23).
In questo passo vengono menzionate due benedizioni: la prima data da Aharon
e la seconda data da Moshè insieme con Aharon.
Rashì (Francia, 1040-1105) nel suo commento scrive che la prima
benedizione data da Aharon era la birkàt
kohanìm, la nota benedizione data dai kohanìm
nelle sinagoghe fino ai nostri giorni il cui testo appare più avanti nella
Torà: “Ti benedica l’Eterno e di protegga; faccia l’Eterno risplendere verso di
te il Suo volto e usi grazie nei tuoi confronti; possa l’Eterno volgere il Suo
volto verso di te e ti conceda pace”(Bemidbàr,
6:24-26).
R. Naftalì Tzvi Yehudà Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia), detto il Natziv dalle sue
iniziali, nel suo commento Ha’amèk Davàr,
fa notare che nel primo versetto di questa parashà
è scritto che Aharon alzò le sue braccia (yadàv), tuttavia la parola braccia nel testo è scritta al singolare
(yadò). Egli spiega che Aharon alzò
un braccio per avvertire il popolo che si apprestava a dare loro la benedizione
in modo che si mettessero nello stato d’animo appropriato e solo dopo alzò
entrambe le braccia per dare la benedizione dei kohanim al popolo. Per dare la benedizione Aharon salì sul mizbèach (altare) in modo da poter dare
la benedizione a tutto il popolo dall’alto. R. Berlin osserva che da qui deriva
l’usanza che i kohanìm quando danno
la benedizione nelle sinagoghe salgono sulla piattaforma di fronte all’arca
della Torà.
Rashì spiega che la seconda benedizione era una tefillà (preghiera) all’Eterno che accettasse il loro servizio. Il
testo di questa preghiera venne poi inserito in un versetto nei Tehillìm (Salmi, 90:17).
R. Lelio della Torre (Cuneo, 1805-1871, Padova) nella sua versione in italiano
dei Tehillìm pubblicata nel 1845,
tradusse il versetto con queste parole: “Il favor dell’Eterno sia su di noi.
L’opra delle nostre mani stabile fa per noi; l’opra delle nostre mani rendi
stabile”. Questo capitolo dei Salmi è parte della tefillà mattutina di Shabbàt e
dei Yamìm Tovìm (giorni festivi).
R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 58) scrive che da qui si impara la halakhà (regola) che obbliga i kohanìm che servono nel Santuario a
pregare alla fine del servizio affinché venga accettato. Egli aggiunge che la
formula di questa supplica fu trasferita dal suo posto originale nel Bet Ha-Mikdàsh di Gerusalemme [dopo la
sua distruzione] alla ‘amidà, la tefillà (preghiera) con le sue diciotto
benedizioni che si fa stando in piedi e costituisce un atto sacrificale
personale. Alla conclusione della ‘amidà quando si recitano le ultime tre
benedizioni, nel paragrafo che inizia con la parola “retzè” (accetta) si prega che l’Eterno accetti le preghiere del
popolo d’Israele.
In questa parashà viene
raccontato che la benedizione dei kohanìm,
data da Aharon, precedette la preghiera per l’accettazione del servizio.
Tuttavia nel Talmud babilonese (Berakhòt,
11b) è raccontato che nel Bet ha-Mikdàsh la
benedizione per l’accettazione del servizio precedeva quella dei kohanìm. R. Soloveitchik ne spiega il
motivo: durante l’inaugurazione del Mishkàn
la benedizione dei kohanìm era parte
integrale del servizio dei sacrifici. Successivamente la benedizione dei kohanìm divenne parte del servizio del Bet Ha-Mikdàsh e non fu più connesso ai
sacrifici. Pertanto la benedizione per l’accettazione dei sacrifici veniva
fatta subito dopo il termine dei sacrifici e la benedizione di kohanim seguiva più tardi.