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    Commento alla Torà. Chayè Sara: le tre proprietà inalienabili in Eretz Israel

    Il patriarca Avrahàm visse 175 anni mentre Sara, che era dieci anni più giovane, mori all’età di 127 anni. R. Shimshòn Refaèl Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) fa notare che in nessun posto altro che in questa parashà viene menzionata l’età di una donna. Egli spiega che le donne non erano coinvolte negli affari della società e non era essenziale conoscere la loro età per l’ordine delle generazioni. Il motivo per menzionarne l’età è che la vita di Sara fu suddivisa in tre periodi ben distinti: i sette anni della giovinezza, i vent’anni della vita da giovane adulta e i cent’anni della vecchiaia. Portò con sè la bellezza dell’infanzia in età adulta e mantenne la purezza dei vent’anni per il resto della sua vita.

    Il patriarca Avrahàm dovette occuparsi della sepoltura della moglie. Non avendo proprietà terriere dovette rivolgersi agli abitanti del paese, i Chittei, per acquistare il terreno per una tomba. Si rivolse ai rappresentanti del popolo e disse loro: “Se è vostra intenzione che io seppellisca la mia defunta in fretta, ascoltatemi e intercedete con Efròn figlio di Tzòchar affinché mi venda la grotta di Makhpelà che lui possiede all’estremità del suo campo; me la venda a prezzo pieno in vostra presenza come tomba di proprietà perpetua” (Bereshìt, 23:8-9).  

    R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) commenta che Avrahàm chiese di proposito la grotta che si trovava all’estremità del campo di Efròn per rendere più facile l’acquisto; infatti in questo modo Efròn non avrebbe perduto l’uso del suo campo. Efròn rispose che desiderava vendere anche il campo affinché Avrahàm non dovesse attraversare i campi di altri per accedere alla grotta. Efròn chiese la cifra di quattrocento sicli che Avrahàm pagò immediatamente alla presenza dei Chittei in modo che la grotta diventasse sua proprietà permanente come tomba di famiglia. Molti commentatori affermano che il prezzo di quattrocento sicli era esorbitante ma Avrahàm non battè ciglio. I Chittei l’avevano chiamato un “principe di Dio tra di noi” e Avrahàm si comportò come tale senza contrattare sul prezzo.

    I commentatori affermano che Efròn non fa una bella figura. R. Chayìm Yosef Azulai (Gerusalemme, 1724-1806, Livorno) nel suo commento Penè David fa notare che la Torà allude alla pessima figura di Efròn nel versetto “E Avrahàm pesò a Efròn l’argento …” (Ibid., 23:16) dove il nome Efròn è scritto senza la Vav (che funge da “o”) e solo con le lettere ‘Ain (70), Fe (80), Resh(200) e Nun(50) il cui valore numerico complessivo è uguale a 400, come i sicli che chiese per il campo e la grotta.  R. Azulai fa notare che anche le parole “Ra’ ‘Ain” (avido, avaro, gretto) hanno il valore numerico di 400 e rappresentano la personalità di Efròn.

    La grotta di Makhpelà fu il primo acquisto da parte di un nostro antenato nella Terra d’Israele.

    Il secondo fu l’acquisto da parte del patriarca Ya’akòv del terreno per piantare le sue tende vicino alla città di Shekhèm al prezzo di cento kesità (Bereshìt, 33:19). Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) scrive che Ya’akòv voleva stabilire un diritto inalienabile alla sua prima proprietà in Eretz Israel e non voleva affittare un posto per abitare. Nel Midràshè scritto che fu qui che Yosèf venne sepolto quando gli israeliti tornarono in Eretz Israel dall’Egitto.

    Il terzo acquisto ebbe luogo quando re Davide acquistò da Arnàn il gebuseo, a Gerusalemme, il terreno per la costruzione del mizbèach(altare) al prezzo pieno di seicento sicli d’oro; in quel luogo re Salomone costruì il Bet Ha-Mikdàsh (I Cronache, 21:25, e commento di Radak).  

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