Questa parashà porta il nome di Kòrach, il levita, cugino di Moshè che si ribellò alla leadership di Moshè e di Aharon dicendo “Rav lakhèm” intendendo dire che essi avevano esagerato prendendosi tutte le cariche più importanti: Moshè il regno e Aharon la kehunà ghedolà (Il sommo sacerdozio), mentre tutti gli israeliti sono kedoshìme possono assumere il sommo sacerdozio. Moshè rispose dicendo: “Domani l’Eterno farà sapere chi appartiene a Lui e chi è kadòshe l’avvicinerà a sé. Colui che egli ha scelto lo avvicinerà a sé. Fate così: domani prendete degli incensieri Kòrach e tutto il suo seguito. Mettetevi del fuoco e ponetevi dell’incenso davanti all’Eterno; l’uomo che l’Eterno sceglierà sarà il kadòsh; «Rav lakhèm benè Levì»” (Bemidbàr, 16: 5-7).
Cosa intendeva dire Moshè quando disse: “Rav lakhèm benè Levi”?
R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1559, Bologna) nel suo commento scrive: “Voi volete troppo, figli di Levi. Voi seguaci di Kòrach avete chiesto una cosa al di là di quanto vi spetta; per questo l’Eterno vi punirà ancora di più poiché siete già stati scelti per il Suo servizio. R. Raphael Pelcovitz (Canton, 1921-2018, New York) nelle sue note al commento di R. Sforno scrive: “R. Sforno diede una triplice risposta a Kòrach: come prima cosa gli disse che aveva capito quale fossero le sue mire; secondariamente che l’Onnipotente avrebbe fatto sapere con certezza chi è il vero profeta e chi è competente a offrire sacrifici. Infine gli disse che si stavano mettendo in pericolo perché solo la persona prescelta dall’Eterno sarebbe sopravvissuta alla prova. Moshè sperava che Kòrach e i suoi seguaci avrebbero prestato attenzione ai suoi avvertimenti e si sarebbero pentiti della loro ribellione. Egli afferma che questo è un altro esempio di misericordia divina che desidera il pentimento dei trasgressori piuttosto che comminare punizioni”.
R. Eliyahu Benamozegh (Livorno, 1823-1900) nel suo commentoPanìm La-Torà (Ed. Benamozegh, Livorno, 1854) afferma che nelle parole di Moshè vi era un messaggio recondito. Quando Moshè disse “Rav lakhèm” oltre a dire “Voi volete troppo figli di Levi” intendeva dire “Rav lakhèm”, cioè “Avete un Rav su di voi in un modo o nell’altro”. I ribelli alla leadership di Moshè non avrebbero guadagnato nulla dalla ribellione perché invece di essere soggetti a Moshè sarebbero stati soggetti a un altro, a Kòrach. Con questo ragionamento la moglie di On figlio di Pelet era riuscita a convincere il marito a ritirarsi dal complotto.
R. Avigdor Burstein (Gerusalemme, 1947-) in una sua derashà fa notare che la risposta di Moshè “Rav lakhèm” aveva fatto seguito alla stessa espressione “Rav lakhèm” usata da Kòrach con la quale quest’ultimo aveva voluto dire che Moshè ed Aharon avevano preso troppe cariche. Egli cita il Talmud babilonese (Sotà, 13b) dove i Maestri affermano che Moshè disse a Kòrach e ai suoi seguaci “Rav lakhèm” e quando Moshè implorò l’Eterno di permettergli di entrare nella Terra Promessa, l’Eterno gli disse “Tu vuoi troppo (Rav lakh) non continuare a parlarmi di questo argomento” (Devarìm, 3:26).
Rashì (Francia, 1040-1105) spiega che Moshè per aver usato nei confronti di Kòrach l’espressione “Rav lakhèm” fu punito, misura per misura con le parole “Rav lakh” perché l’Eterno è molto più rigoroso con i giusti che con gli altri uomini. Il fatto che Kòrach avesse usato questa espressione con Moshè non giustificava il fatto che Moshè gli rispondesse a tono. Nel Midrash Rabbà (Kòrach) i maestri menzionano lo stesso argomento. R. Burstein sottolinea il fatto che Moshè durante la ribellione di Kòrach chiese all’Eterno che non desse attenzione alle offerte di Kòrach e dei suoi seguaci e che la terra si aprisse per fare cadere nella voragine i ribelli. L’Eterno esaudì le sue preghiere. Nonostante tutto per via delle parole “Rav lakhèm” Moshè venne punito e non gli venne permesso di entrare nella Terra Promessa. Da qui impariamo un importante principio. Anche quando si tratta di persone malvage che meritano di essere punite è importante rivolgersi a loro con rispetto.