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    “Pio e Amedeo: lo sdoganamento dell’ignoranza” – Intervista a Selvaggia Lucarelli

    Nei giorni scorsi si è molto dibattuto sull’utilizzo del politicamente corretto nella comicità e sull’uso delle parole dopo il discusso sketch di Pio e Amedeo. In un lungo post di replica all’indignazione di vari personaggi i due hanno rincarato la dose. Abbiamo intervistato la giornalista e scrittrice Selvaggia Lucarelli sull’uso della parola e sullo stato della comicità italiana.

     

    Pio e Amedeo hanno detto che non si fermeranno e parlano di dittatura grammaticale. È così o come ci ha detto Parenzo in una recente intervista è la dittatura della maleducazione? 

     

    Non capisco cosa c’entri la grammatica. Le parole e la grammatica sono due cose completamente diverse. Credo che loro abbiano intrapreso la strada della provocazione che è ben altra cosa rispetto al politicamente scorretto. Sembra più un capriccio del bambino a cui dici di non urlare nella fase della ribellione e che grida sempre più forte, un atteggiamento puerile. Non credo nemmeno che sia maleducazione, come ho scritto nel mio articolo su tpi.it è lo sdoganamento dell’ignoranza. Nel senso di ignorare, di non prendere in considerazione le conseguenze delle parole. Se fossero particolarmente coraggiosi come dicono, se volessero davvero rompere gli schemi o essere irriguardosi nei confronti di quello che secondo loro è intoccabile dovrebbero esserlo, ad esempio, nei confronti dei poteri forti, nei confronti di chi ti bruci a toccare e non delle minoranze, di persone che hanno subìto negli anni e nei secoli l’umiliazione, la denigrazione, lo sbeffeggiamento, la persecuzione e soprattutto l’utilizzo distorto e crudele della parola

     

    Pensa bene e sarà bene si legge nel Talmud, le parole hanno un loro peso specifico, e proprio le parole sono protagoniste nella sua vita, come strumento per il suo mestiere ma anche come arma per colpirla molto e anche duramente. Può bastare “l’ironia” a combattere l’odio? 

     

    Loro suggeriscono l’atteggiamento che dovrebbe tenere “la vittima”. Le parole sono azioni e secondo me non c’è differenza tra la violenza verbale e quella fisica. Che intenzione c’è nella parola “frocio”, “negro” o “ebreo”? Non contengono un’intenzione già precisa?  Non esiste la parola “frocio” scevra o libera dall’intenzione di offendere e di denigrare, perché nasce esattamente con quello scopo altrimenti basterebbe “omosessuale”. 

    Non possiamo utilizzare la parola “ebreo” nell’accezione di tirchio, dicendo che anche i genovesi sono tirchi, perché i genovesi non sono mai stati perseguitati per tutta una serie di pregiudizi, bugie e ricostruzioni storiche false. È evidente che usare le parole in quel modo è accendere una luce su uno dei tanti pregiudizi che hanno creato un clima di odio e che hanno scritto la storia nella direzione che purtroppo conosciamo bene. Far finta di non saperlo mi sembra o ingenuo, e quindi ignorante, o, se lo sai, molto grave. Lo dice una persona che ama l’ironia, l’autoironia e pratica la satira. Dire usa l’ironia è sbagliato perché non puoi dire alla vittima cosa deve fare, tu devi parlare col carnefice.

    C’è anche da dire che le parole cambiano accezione nel corso degli anni, ma noi non siamo ancora in quel periodo storico.

     

    Sdoganare alcune parole legittima le persone ad utilizzarle. Cosa si può fare per combattere l’odio e l’uso improprio della parola? 

     

    Raccontare le conseguenze che le parole hanno, per far comprendere quanto le parole siano azioni e non qualcosa di aleatorio. Bisogna sempre ricordare di come hanno cambiato il mondo e la storia o sono state il preludio di cambiamenti. Quando comincia a cambiare il linguaggio nei confronti di una certa fetta della società quello è sempre il preludio di qualcosa che accadrà. Penso a Luca Traini, il ragazzo di estrema destra uscito di casa con una pistola per sparare ad alcuni ragazzi di colore, quell’episodio è nato e si è sviluppato in un momento di particolare tensione verbale sui social rispetto alla questione migranti, soprattutto fomentato da una certa parte politica. Quella è la perfetta dimostrazione di come le parole si trasformano in azione. Credo si debba far riflettere chi ritiene che il fomentare l’utilizzo così incosciente delle parole, di quali sono le conseguenze delle parole che si utilizzano. Le parole uccidono, sono un’arma potentissima. Qualcuno dice siano pietre, per me sono fucili soprattutto in un periodo storico dove le possiamo utilizzare tutti alla stessa maniera. Prima la parola amplificata era in mano a poche persone che ne potevano usufruire. 

     

    La legge in questo ci aiuta?

     

    I modi per difendersi ci sono ma purtroppo spesso sono inefficaci o molto scarsi. 

     

    La comicità ha bisogno del becero per far ridere?

     

    La comicità non deve essere necessariamente sofisticata, può essere fatta anche solo di pernacchie, ma deve essere fatta e studiata bene. Ci sono dei rumoristi che fanno molto ridere. 

    Il problema è utilizzare una comicità pericolosa. La comicità del cinepanettone è stata, secondo me, brutta, facile, senza una struttura elegante né interessante ma sostanzialmente innocua.

    Il pericolo si ha quando pensi di fare il politicamente scorretto senza avere i mezzi culturali per poterlo fare. Fare i comici è una delle cose più difficili, se hai un talento che non è supportato da cultura, struttura e studio diventa pericoloso soprattutto quando vuoi sdoganare parole offensive o riporti in auge parole desuete. 

     

    Lei crede che la comicità ha bisogno di rinnovarsi? 

     

    La comicità in realtà è in grande fermento. Ad esempio le barzellette non esistono più, sembra una scemenza ma è l’indizio di come la comicità e quello che ci fa ridere segue i cambiamenti e l’evoluzione della società. Non ci sono più perché la tradizione orale nella comicità è praticamente morta, non si ha più bisogno del passaparola per raccontarci una cosa che fa ridere. Basta vedere un video su un qualsiasi social per ridere. Anche i cabaret, lo spettacolo dal vivo ormai rappresentano più l’evento. La comicità è molto più fruibile sui social. I millennials si divertivano moltissimo con il politicamente scorretto applicato con i meme. La generazione Z è andata oltre, non è nemmeno più per i monologhi ma per il nonsense, tutto quello che un boomer come noi ci mette dieci minuti a comprendere. Mio figlio e tutta la sua generazione ride di foto di gatti con un passamontagna, cose che tu non capisci. Frank Matano ha una comicità che richiede un tempo lungo di comprensione, per cui ridi ma non sai perché ridi. Il contrario dell’immediatezza di Pio e Amedeo. 

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