A 80 anni dal sacrificio di Emanuele Artom, le Comunità ebraiche di Torino, Casale Monferrato e Vercelli con la Comunità di Sant’Egidio, martedì 9 aprile alle 11 ricorderanno l’efferato delitto del giovane, simbolo della persecuzione razzista e antisemita. Un ‘pellegrinaggio della memoria’ si snoderà dalla Stazione di Porta Nuova di Torino, presso la lapide posta davanti al binario 17 e dedicata ai deportati, verso la Scuola Ebraica intitolata alla memoria di Emanuele Artom per giungere alla Sinagoga in piazzetta Primo Levi, un itinerario che porterà i partecipanti a ripercorrere la strada che il giovane Emanuele aveva compiuto migliaia di volte dopo la promulgazione delle Leggi razziste del 1938. Una proposta di grande significato, rivolta a tutta la città e soprattutto alle giovani generazioni, perché non dimentichino la tragedia della violenza antisemita, della guerra, della deportazione e della Shoah che ha inghiottito la vita di milioni di ebrei e ferito profondamente anche Torino.
Nato ad Aosta il 23 giugno 1915 in una famiglia della borghesia ebraica torinese, Emanuele Artom crebbe a Torino, compì il suo percorso di studi che concluse nel 1937, laureandosi a pieni voti. L’interesse per gli studi storici portò il giovane a concentrare il suo impegno intellettuale per il proseguimento della carriera accademica: le leggi razziste del 1938 gli preclusero la realizzazione del suo progetto. Gli anni della formazione liceale e universitaria furono fondamentali per Emanuele Artom, non solo per lo sviluppo dei suoi interessi storici ma anche per l’avvicinamento agli ambienti intellettuali antifascisti. Le vicende belliche accrebbero l’avversione di Emanuele Artom al regime fascista: il giorno dopo l’armistizio del settembre 1943 si iscrisse al Partito d’Azione. L’immediata occupazione nazista del Cento-Nord Italia lasciò ad Artom la possibilità di tentare la fuga verso la Svizzera per scappare dalle persecuzioni antiebraiche o la scelta partigiana. Artom scelse la Resistenza, divenendo prima delegato per il Partito d’Azione in una formazione garibaldina di Barge, poi commissario politico delle formazioni di ‘Italia Libera’ in Val Pellice e in Val Germanasca.
La vita e il percorso politico e intellettuale di Artom negli anni della guerra e della lotta partigiana sono stati narrati da lui stesso nel diario che tenne dal gennaio 1940. “Certe volte penso che questo mio diario – scriveva – in futuro sarà una interessante testimonianza, anche perché credo che pochi siano i partigiani che lo tengono con tanta assiduità e, d’altra parte, per ovvie ragioni si scrivono poche lettere confuse e prive di notizie politiche”. Poche settimane prima di essere catturato, con tragica preveggenza, scrisse nel suo diario: “per il soldato la prigionia può essere anche un rifugio, per noi è la morte, e che morte! La morte di quel partigiano a cui i tedeschi strapparono le unghie prima di farlo fucilare”. Le ultime annotazioni sul diario sono del 23 febbraio 1944. Nei giorni immediatamente successivi, Artom svolse incarichi politico-organizzativi in Val Germanasca e prese parte alla battaglia di Perosa Argentina. Con il grande rastrellamento nazifascista, effettuato a fine marzo contemporaneamente in Val Germanasca e nelle valli del Pellice, Emanuele Artom braccato, viene arrestato dalle milizie fasciste. Un informatore lo denuncia perché ebreo, viene preso in consegna dai nazisti e rinchiuso nelle Carceri Nuove di Torino. Qui subisce ripetute torture per estorcergli informazioni, ma non tradisce mai i suoi compagni. Muore a causa delle sevizie il 7 aprile. Il suo corpo, seppellito lungo le rive del torrente Sangone alla periferia di Torino, non è mai stato ritrovato.