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    ISRAELE

    Una svolta strategica: Israele attacca in Qatar i capi di Hamas

    Il colpo contro la dirigenza di Hamas
    È un altro colpo audacissimo di Israele, dopo la distruzione di Hezbollah coi cerca-persone e il bombardamento di Nasrallah, l’eliminazione a Teheran dell’allora capo di Hamas Ismail Haniyeh, i bombardamenti mirati in Siria, la distruzione dell’industria nucleare iraniana. Con una dozzina di missili sparati da sei aerei arrivati a Doha, capitale del Qatar, senza essere visti né annunciati, l’aeronautica israeliana ha mirato all’intero gruppo dirigente estero di Hamas, riunito a discutere le scelte dell’organizzazione terrorista di fronte all’ultima offerta ultimativa di Trump. Al momento in cui questo articolo è scritto, non vi sono ancora conferma che siano stati eliminati tutti i dirigenti terroristi, a partire dal leader attuale Khalil Al Hayya e dal capo storico Khaled Meshaal. Ma in quella palazzina di un quartiere elegante di Doha c’era una decina dei capi responsabili di tutti i crimini di questi anni e senza dubbio il danno è stato grave anche per un’organizzazione abituata alla direzione collettiva e capace di subire pesanti danni al vertice come si è dimostrata Hamas.

    Un capolavoro tecnico e di audacia
    Il colpo israeliano è tecnicamente notevole: realizzato a quasi 1800 chilometri di distanza in un paese straniero ma non ufficialmente nemico, molto avanzato militarmente, che non ha subito danni precedenti al suo ottimo sistema antiaereo, passando sopra le difese dell’Arabia Saudita e degli Emirati, teoricamente a vista dei radar iraniani, esso mostra la supremazia degli F35 e la grande competenza acquisita dall’aviazione di Israele. C’è in questa azione un’immensa audacia e una straordinaria preparazione, che ricorda il famoso raid di Entebbe. La sua preparazione spiega anche perché Israele non ha reagito subito agli attacchi degli Houti dei giorni scorsi e fa capire che cosa faceva ieri Netanyahu nella sua lunga permanenza nella “fossa” del comando dell’aeronautica.

    Un cambio strategico
    Ma il significato principale è politico. Il Qatar ha subito annunciato di aver rinunciato per il momento alla sua opera di mediazione; ma non ce n’era bisogno, perché probabilmente nella direzione all’estero di Hamas non è rimasto nessuno con cui negoziare. Certamente questo attacco significa che Israele ha rinunciato all’estenuante tira-e-molla propagandistico che erano diventate a causa di Hamas queste trattative e ha deciso di procedere all’eliminazione totale di Hamas con mezzi militari. È sicuro che l’azione non si sarebbe potuta svolgere senza darne preventivamente avviso a Trump e anzi ottenere il suo consenso. Questo significa che il quadro strategico della guerra in Medio Oriente è decisamente cambiato nel senso sempre richiesto da Netanyahu: la distruzione delle minacce attive contro Israele e dunque “la vittoria totale” a Gaza, intesa come lo sradicamento della forza militare di Hamas e degli altri gruppi terroristici.

    L’eliminazione di ogni minaccia
    Vale la pena di ricordare, a proposito di distruzione delle minacce, che negli ultimi giorni Israele ha colpito alcuni siti in cui Hezbollah cercava di restaurare la propria struttura militare, fortemente danneggiata nei mesi scorsi e che soprattutto ieri ha distrutto una base con munizioni, missili, e anche radar antiaerei a Homs (metà strada fra Damasco e Aleppo, in Siria). L’aspetto rilevante di questa operazione è che i materiali appartenevano alla Turchia, che ha vivamente protestato ma non ha potuto infine che prendere atto del fallimento di questo tentativo di installarsi in territorio siriano. Israele non è imperialista, non vuole impadronirsi di terre e popoli altrui, ma dopo il 7 ottobre non intende più sopportare che si creino concentrazioni di forze che lo minacciano, in primo luogo a Gaza, da dove Hamas ha detto molte volte di voler ripartire con “cento 7 ottobre” in futuro. E in effetti, in contemporanea con l’attacco a Doha, l’esercito israeliano ha continuato ad abbattere i grattacieli di Gaza City, da cui Hamas attaccava le truppe e monitorava i loro movimenti e ha continuato ad avanzare nel centro della città nonostante alcune dolorose perdite. Ormai restano da conquistare pochi chilometri quadrati e Hamas non avrà più zone franche. E non sarà certo la ripresa del terrorismo nel centro di Israele, come nell’attentato di ieri a Gerusalemme, a fermare la decisione israeliana di distruggere le basi terroristiche.

    La sorte dei rapiti
    Questa strategia vincente, che approfitta della consonanza dell’amministrazione americana, dovrebbe servire nelle intenzioni di Netanyahu anche a favorire la liberazione dei rapiti, una preoccupazione nel cuore di tutti gli israeliani. C’è naturalmente il rischio che i terroristi si prendano la loro estrema vendetta su coloro che hanno sequestrato quasi due anni fa e da allora tenuto rinchiusi in condizioni inumane e torturati psicologicamente e fisicamente. Ma è sperabile che di fronte alla perdita totale della Striscia e alla distruzione della leadership possa prevalere anche in loro un briciolo di buonsenso e prevalga la volontà di arrendersi, salvando la vita degli ostaggi, di chi li libererà e anche del popolo di Gaza, le cui sofferenze dipendono interamente dall’uso cinico e criminale che ne hanno fatto, condannandoli a fare gli scudi umani, rubando loro il cibo, non lasciandoli neanche fuggire dai luoghi in cui Israele annunciava di preparare manovre di guerra. Resta il fatto che la via d’uscita dalla crisi scatenata dall’attacco su sette fronti contro Israele è la vittoria dello Stato ebraico, che è anche la vittoria del mondo libero sulle dittature che appoggiano il terrorismo. E l’azione di Doha ne costituisce una tappa importante.

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