
L’incontro fra Netanyahu e Trump
L’evento politico più importante per Israele nell’ultima settimana è stata la visita di Netanyahu alla Casa Bianca: non programmata e non prevista, in risposta a un invito urgente di Trump nel pieno della crisi dei dazi. Il primo ministro israeliano è volato direttamente a Washington dall’Ungheria, tralasciando per un paio di giorni le intricate polemiche interne al sistema politico israeliano. Nel breve colloquio con la stampa alla fine dei colloqui e nelle dichiarazioni successive, alcuni hanno voluto leggere un fallimento: Israele non ha ottenuto un trattamento di favore sui dazi, ma Trump già meditava evidentemente di sospenderli e Israele ha chiarito il proprio proposito di eliminare dazi e ostacoli ai prodotti americani, entrando evidentemente nel numero dei paesi amici che non dovrebbero essere davvero penalizzati in futuro. Sulla guerra di Gaza e con l’Iran, dicono queste voci, Trump non si è del tutto allineato con Israele.
Gaza
Vediamo. Per quanto riguarda Gaza e la guerra, Trump non ha spinto perché Israele sospendesse l’azione in corso, soprattutto la costruzione di ampie zone cuscinetto sottratte al controllo palestinese, in particolare al confine con l’Egitto, e non ha nemmeno eccepito a un provvedimento in corso da due settimane, la sospensione dell’ingresso dei rifornimenti a Gaza, che senza dubbio ai tempi di Biden avrebbe suscitato un putiferio. Né Trump si è tirato indietro dal piano di favorire l’espatrio delle popolazione di Gaza. Insomma, non ci sono novità in un atteggiamento fortemente filo-israeliano, di cui fa parte anche la personale, evidente commozione di Trump per la sorte dei rapiti. Basta confrontare il suo atteggiamento con quello di Macron, che alla fine di una visita in Egitto ha annunciato il prossimo riconoscimento dell’inesistente “Stato di Palestina” per capire la sua posizione, che non è cambiata da tempo.
La trattativa in Oman
Perché dunque Trump ha voluto parlare con Netanyahu? Il tema centrale dell’incontro è stato l’Iran, come ha dichiarato lo stesso primo ministro israeliano. Trump gli ha annunciato i colloqui previsti per sabato in Oman fra il suo inviato in Medio Oriente, Steve Witkoff, con il ministro degli esteri dell’Iran Abbas Araghchi. Che si annuncino questi colloqui è una novità, perché il “leader supremo” Khamenei aveva escluso ogni trattativa. Netanyahu ha detto che ne era a conoscenza, ma non ne aveva mia parlato. Ora la discussione sui giornali è se saranno colloqui diretti, come sostiene Witkoff, o solo indiretti, come dice Araghchi. Ma il punto vero non è questo. Israele non vuole che questo incontro in Oman sia l’inizio di un ciclo di trattative lunghe che farebbe guadagnare tempo all’Iran. Per Israele questo dovrebbe essere piuttosto un punto finale, in cui gli ayatollah dovranno rispondere a un’alternativa secca.
Il modello libico o la guerra
Vi sono due possibilità, ha dichiarato Netanyahu. O l’Iran accetta di disarmare completamente il suo sistema di attacco nucleare, consegnando l’uranio arricchito che è il combustibile delle bombe atomiche (sembra che ne abbia già abbastanza per sei testate); smantellando il sistema delle centrifughe che permettono l’arricchimento; distruggendo il programma missilistico; e facendo tutto ciò sotto il diretto controllo americano – questo è quello che si chiama “modello libico” perché si riferisce al processo attraverso il quale la Libia, sotto il regime di Muammar Gheddafi, accettò di abbandonare volontariamente il suo programma di armi nucleari e altre armi di distruzione di massa sotto controllo internazionale nei primi anni 2000. Oppure il suo armamento nucleare e missilistico dovrà essere distrutto con mezzi bellici.
L’accumulo di potenza militare contro l’Iran
Di questo hanno dunque parlato Trump e Netanyahu: una conversazione avvenuta in parallelo alle consultazioni di alto livello che si sono avute nell’ultima settimana fra i capi militari israeliani e americani e soprattutto alla costruzione di una imponente forza aeronavale americana intorno al Medio Oriente. Stanno arrivando nella zona quattro flotte con portaerei; nell’isola britannica di Diego Garcia (che è a portata di autonomia aerea dall’Iran) si sono radunati numerosi bombardieri strategici da bombardamento fra cui sei modernissimi B-2 invisibili al radar e capaci di portare le più grandi bombe anti-bunker del mondo; decine di voli di immensi aerei da carico hanno portato in Israele e nelle basi americane in Medio Oriente i più avanzati sistemi antimissile. Si può dire che oltre un terzo della potenza militare americana si stia concentrando intorno all’Iran.
Le prospettive
Significa questo che l’attacco all’Iran è inevitabile? No, per carattere e per ideologia Trump preferisce le trattative anche durissime alla guerra. E soprattutto non vuole il coinvolgimento diretto di militari americani sul terreno. Per questo ha cercato le trattative, mandando qualche settimana fa una lettera diretta a Khamenei, autorizzando il negoziato in Oman e fra l’altro in un contesto diverso facendo incontrare diverse volte i suoi uomini direttamente con Hamas. Questa riluttanza lo mette in conflitto con Netanyahu, come molti nemici di Israele dicono con malcelata gioia? Neppure. Anche Israele preferirebbe che il regime clericale di Teheran cedesse le armi, perché esso dispone di ostaggi (fra cui circa 10 mila ebrei che vivono in Iran); perché ha probabilmente la possibilità di fare male a Israele (basterebbe una bomba atomica fatta esplodere con qualunque mezzo a Tel Aviv per mettere in ginocchio il paese; perché infine Israele pensa che si possa distinguere una popolazione iraniana innocente e perfino amica dall’aggressione del regime). Se il governo iraniano fosse costretto a rinunciare alle armi e alle manovre imperialistiche per cui ha impoverito il proprio popolo negli ultimi decenni, probabilmente finirebbe col cadere ignominiosamente, lasciando spazio alla resistenza pacifica che in questi anni è spesso emersa, pagando prezzi altissimi. Ma se la trattativa non si concludesse? La risposta l’ha data Trump in una dichiarazione dopo l’incontro con Netanyahu: “Se sarà necessario un intervento militare con l’Iran, ci sarà un intervento militare e Israele sarà coinvolto e guiderà l’azione”.