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    ISRAELE

    Trump alla Knesset: “Israele è più forte, rispettato e sicuro che mai”

    Con il suo stile diretto il presidente americano segna una giornata che entrerà nei libri di storia.

    A Gerusalemme, in un’aula della Knesset gremita e commossa, Donald Trump ha pronunciato un discorso che resterà impresso a lungo nella memoria collettiva israeliana. Con la sua consueta miscela di enfasi, humour e messaggi forti, il presidente degli Stati Uniti ha annunciato ufficialmente la fine della guerra e l’inizio di “un’era di fede, speranza e unità in Medio Oriente”.

    All’inizio, Trump ha voluto rendere omaggio a Benjamin Netanyahu: lo ha definito “un uomo coraggioso, deciso, che ha reso possibile questo momento” e ha invitato l’aula ad alzarsi in suo onore. “Ricorderemo il suo ruolo nella storia d’Israele”, ha detto, sottolineando la “determinazione” del premier sul dossier ostaggi e sulla sicurezza nazionale.

    “Dopo anni di conflitto ininterrotto, i cannoni tacciono: è l’alba storica di un nuovo Medio Oriente”, ha scandito tra applausi e standing ovation. Trump è stato il solito Trump: simpatico e diretto, capace di alternare battute e passaggi di sostanza, conquistando la sala con improvvisi fuori-testo.

    Con una battuta diventata subito virale, si è rivolto al presidente Herzog: “Forse potresti concedere la grazia a Netanyahu? Sigari e champagne? A chi importa!”. L’aula è esplosa in risate e applausi. Citazioni e ringraziamenti anche per il suo inviato Steve Witkoff e per Jared Kushner (“Ama Israele, tanto che mia figlia si è convertita”).

    Un momento di tensione — i cartelli “Riconoscete la Palestina” di Ayman Odeh e Ofer Cassif — è stato superato senza inciampi: Trump ha sorriso e ha proseguito.

    Forza e pace. Il discorso è stato politico e molto favorevole a Israele. Trump ha rivendicato la cooperazione militare (“Abbiamo l’esercito più potente della storia, armi d’eccellenza che abbiamo fornito anche a Israele”) e l’effetto strategico sulla regione: “Le forze del terrore e del caos sono sconfitte; ora dobbiamo tradurre la vittoria in pace e prosperità”.

    Sul dossier Iran il messaggio è stato netto: la minaccia nucleare è stata contenuta e a Teheran ha offerto “una via d’uscita” purché rinunci al terrorismo e riconosca il diritto d’esistere di Israele.

    Gaza smilitarizzata e ricostruzione araba. Trump ha indicato il perimetro dell’assetto del “giorno dopo”: smilitarizzazione immediata di Gaza, disarmo di Hamas, sicurezza d’Israele non negoziabile. In parallelo, il capitolo economico: “La ricchezza della regione deve andare a scuole, medicina, scienza, industria e intelligenza artificiale, non a missili”. Ha parlato di una “Coalizione per la Pace” e di Paesi arabi pronti a investire nella ricostruzione, segnando la continuità e l’ampliamento degli Accordi di Abramo.

    Richiamando “il D-o di Abramo, Isacco e Giacobbe” e il 7 ottobre (“Non dimenticheremo, mai più”), Trump ha legato memoria e sicurezza nazionale, spiegando perché Israele oggi è “più forte, più rispettato, più sicuro”. Ha salutato con emozione il ritorno di 20 ostaggi vivi e ricordato l’attesa della restituzione dei caduti.

    Il premier Netanyahu ha ricambiato con parole di gratitudine: dagli Accordi di Abramo all’attuale intesa sugli ostaggi, “Trump resterà nella storia d’Israele”. Il messaggio finale dell’ospite è suonato chiaro e pro-Israele: se la coesistenza è possibile nelle strade di Gerusalemme, può esserlo in tutto il Medio Oriente. L’ovazione conclusiva ha suggellato il senso della giornata: Israele esce più legittimato, più protetto e con un orizzonte diplomatico aperto.

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