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    ISRAELE

    Gli annunci sulla tregua per i rapiti

    La smentita di Israele
    Il governo israeliano ha smentito ieri l’indiscrezione pubblicata sabato dal New York Times e largamente ripresa dalla stampa internazionale e anche da quella italiana, secondo cui sarebbero stati compiuti progressi significativi su un accordo per la liberazione dei rapiti. Secondo le fonti governative israeliane, la notizia “potrebbe riflettere un pio desiderio da parte degli americani, o il tentativo di creare l’apparenza di un accordo. Vorremmo che fosse vero, ma purtroppo non lo è”. Israele – scrive il quotidiano Yedioth Ahronoth – non è a conoscenza di alcuna ammorbidimento nella posizione di Hamas, che continua a insistere su una cessazione delle ostilità come condizione per un accordo.

    La bozza dell’accordo
    Secondo quel che aveva scritto il NYT, citando dei “negoziatori guidati dagli Stati Uniti” una bozza di accordo già scritta e quindi vicina all’approvazione finale, che doveva essere raggiunta in colloqui da tenersi a Parigi, avrebbe previsto il rilascio graduale degli oltre cento rapiti detenuti da Hamas in cambio di uno stop dell’offensiva militare israeliana per circa due mesi. Nella bozza si ipotizzava una prima fase con un cessate il fuoco di 30 giorni, durante la quale Hamas avrebbe rilasciato prima le donne, gli anziani e i feriti. Nel frattempo, le parti avrebbero dovuto concordare una seconda tregua, sempre di 30 giorni, per consentire anche il rilascio degli uomini e dei militari israeliani. La bozza, inoltre, avrebbe inclusa anche un potenziamento dell’assistenza umanitaria alla popolazione civile nella Striscia di Gaza, mentre sarebbe rimaste da stabilire il numero di palestinesi, attualmente detenuti nelle prigioni israeliane, che dovevano venir rilasciati. C’è stato in effetti un incontro a Parigi, con il capo della Cia, del Mossad e il primo ministro del Qatar. Ma, secondo un comunicato dell’ufficio del primo ministro di Israele “Rimangono ancora notevoli differenze di vedute sulle quali le parti continueranno a discutere questa settimana in ulteriori incontri reciproci.”

    Perché l’accordo è impossibile oggi
    Lo schema di un accordo di tregua presentato come imminente e poi smentito è ricorrente in questa guerra. La ragione è che né Israele né i terroristi sono davvero disponibili ad arrivare a un punto di accordo. Hamas assiste alla distruzione progressiva della sua potenza militare, sa di non poterla contrastare e di avere a suo disposizione solo due carte: i rapiti e l’appoggio internazionale, vuoi dei nemici espliciti di Israele, vuoi di “pacifisti” che si interessano delle sofferenze del popolo di Gaza, che peraltro ai terroristi non interessano affatto. Dunque è disponibile solo a un accordo che interrompa del tutto la guerra, assicurandogli (secondo l’ultima richiesta addirittura con garanzie internazionali) la continuazione del dominio di Gaza e magari anche dell’Autorità Palestinese, magari sotto le vesti di un governo di unità. Israele, circondato da potenze ostili, minacciato di ripetizioni del pogrom del 7 ottobre “fino alla sua distruzione”, non può fermare l’offensiva a Gaza se non garantisce la sicurezza a lungo termine dei suoi cittadini, il che può avvenire solo con la distruzione totale di Hamas. E’ difficile da dire, ma sta nella logica delle cose: sarebbe suicida per Israele pagare la salvezza dei rapiti dando a Hamas la possibilità di riarmarsi e compiere nuovi rapimenti e nuove stragi.

    La ragione degli annunci di tregua
    Perché dunque questo schema ripetuto? Si tratta di tentativi di influire sulla posizione internazionale di Israele, attribuendogli la responsabilità dello stallo, o addirittura di agire nella politica interna israeliana, costruendo appoggi alle forze che vogliono far cadere il governo di Netanyahu, che rimane il più deciso a proporsi la distruzione completa di Hamas. E’ chiaro che vi è una volontà politica e in parte elettorale dell’amministrazione americana di far concludere la guerra di Gaza. Oltre alle “notizie” su improbabili accordi, sono circolate anche minacce di sospendere o ritardare i rifornimenti di munizioni, se Israele non “rallenterà” la sua azione a Gaza. E’ difficile stabilire se l’amministrazione Biden comprenda di premere per una soluzione che mettere in pericolo il futuro di Israele e cinicamente non ci faccia caso, o se davvero si illuda al mito di una pace possibile con una Autorità Palestinese “rivificata”, nonostante la sua vocazione storica alla distruzione di Israele, confermata anche in questi giorni.

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