Il riciclo non è un fenomeno moderno ma risale alla preistoria. Già 500mila anni fa, infatti, i primi ominidi avevano la buona abitudine di riciclare strumenti di pietra, usati e scartati dai loro predecessori.
A sostenerlo uno studio condotto dai ricercatori Bar Efrati e Ran Barkai del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Tel Aviv (TAU), in collaborazione con Flavia Venditti dell’Università di Tubinga, in Germania, e Stella Nunziante Cesaro dell’Università La Sapienza di Roma. La ricerca è apparsa sulla prestigiosa rivista scientifica Scientific Reports, pubblicata da Nature.
Il team di archeologi ha rinvenuto 49 strumenti di selce nel sito di Revadim, a sud d’Israele, luogo che, 500mila anni fa, era abitato dai cacciatori-raccoglitori per la presenza di abbondante fauna selvatica e di selce di buona qualità.
Un elemento determinante, per identificare gli oggetti riciclati e comprenderne la loro storia, è l’esame chimico della patina che li riveste e che si forma sulla selce, quando viene esposta agli agenti atmosferici per un lungo periodo di tempo. Pertanto, uno strumento gettato via e rimasto intatto per decenni o secoli, ha accumulato uno strato di patina facilmente identificabile, diverso sia per colore che per consistenza da quello di un oggetto che ha subìto un secondo ciclo di lavorazione.
L’analisi della patina degli strumenti ritrovati ha rilevato che molti di essi erano stati riciclati, dimostrando anche che gli oggetti, in una prima fase, venivano utilizzati per attività di taglio accurato, mentre, in una seconda fase, per la raschiatura (lavorazione di osso e pelli).
Inoltre, durante il riciclo, gli strumenti erano rimodellati molto poco, cercando di preservare il più possibile la loro forma originale. “Sulla base delle nostre scoperte, possiamo affermare che l’uomo preistorico raccoglieva e riciclava vecchi strumenti perché ciò aveva un significato per lui – ha detto Ran Barkai – Lo strumento porta il ricordo dei suoi antenati o evoca una connessione con un determinato luogo”. “L’uomo ritocca il bordo a proprio uso, ma fa attenzione a non alterare la forma originale, in onore di colui che lo aveva forgiato per la prima volta, comprendendo che l’uso quotidiano poteva preservare, anzi avvalorare il ricordo” ha aggiunto il ricercatore.
“I nostri antenati erano intelligenti, non ‘primitivi’ – ha detto Bar Efrati – e non erano così diversi da noi. Conoscevano l’ambiente circostante e sapevano come sopravvivere meglio di quanto facciamo ora noi con tutta la nostra tecnologia”. “Questo ci mostra che raccogliere e riciclare gli oggetti non è un’invenzione dei tempi moderni. È qualcosa che è radicato in noi, più di quanto possiamo immaginare” ha aggiunto Efrati.