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    Spade di ferro – giorno 39. La battaglia degli ospedali

    Hamas non è più padrone di Gaza

    Israele è ormai entrato nei luoghi simbolici del potere a
    Gaza. Ci sono foto che ritraggono i soldati della divisione di fanteria
    d’eccellenza Golani nella sede del comitato legislativo dove i capi di Hamas
    tenevano le loro riunioni pubbliche; altri sono entrati nella sede del
    governatore della città; i carri armati stazionano sulla “piazza del milite
    ignoto”, dove si tenevano le manifestazioni di massa del terrorismo. Buona
    parte della popolazione della città è sfollata verso il sud della Striscia ed è
    in difficoltà per le piogge abbondanti. Ci sono stati scontri fra la folla che
    cercava di ottenere il cibo dei soccorsi e i miliziani di Hamas che cercavano
    di sottrarglieli e impadronirsene. Sono stati anche riferiti saccheggi delle
    sedi dei movimenti terroristi e altri luoghi del potere di Gaza. Il problema è
    che tutti i paesi che esprimono solidarietà per i palestinesi non vogliono
    affatto accogliere i fuggitivi. Non intende farlo l’Egitto, che dall’inizio
    delle operazioni ha chiuso il valico di Rafah, lasciando passare solo in certi
    momenti i feriti e gli abitanti forniti di passaporto straniero. Esclude l’accoglienza
    anche l’altro paese che confina con Israele, dove sarebbe possibile portare
    facilmente i rifugiati, la Giordania, che ha parlato della possibilità che essi
    arrivino sul suo territorio come di una “linea rossa”. Nessuno fra gli stati
    arabi e musulmani che hanno fatto l’altro ieri grandi discorsi sul loro
    appoggio a Gaza ha offerto ospitalità. Questa situazione è un problema ora e lo
    sarà ancor di più in futuro, perché in mezzo alle famiglie normali vi sono
    terroristi e una maggioranza di loro sostenitori, che rendono pericolose queste
    folle.

    La battaglia degli ospedali

    Seppure i punti strategici del suolo di Gaza sono in mano ai
    soldati israeliani, la guerra non è affatto finita. I terroristi sono ancora in
    grado di sparare grosse salve di missili su Israele come hanno fatto anche ieri
    sulla zona centrale del paese, colpendo anche direttamente una casa a Petah
    Tikvah. La fase molto delicata che è in corso ora è una battaglia sugli
    ospedali, dove è sempre più chiaro che i terroristi avevano stabilito i loro
    centri logistici, di comando, e perfino di prigionia. Il portavoce
    dell’esercito israeliano ha mostrato alla stampa le prove del fatto che
    nell’ospedale pediatrico Rantisi erano detenuti dei rapiti fra cui bambini: una
    motocicletta con la fascia di uno dei rapiti, biberon, corde con cui i rapiti
    erano legati alle sedie. Vi sono anche foto che mostrano nello stesso ospedale
    un luogo di tortura, fra cui una sedia attrezzata a questo scopo.  Nell’ospedale Shifa è emersa una sala
    riunioni dei terroristi; dallo stesso ospedale è uscita ieri una squadra di
    terroristi che ha ingaggiato uno scontro a fuoco coi militari israeliani. Le
    forze israeliane si trovano a dover conquistare questi ospedali, che sono anche
    caserme e prigioni, cercando di non danneggiare i malati. C’è stato per esempio
    un trasferimento di incubatori da Israele a Gaza per utilizzarli a favore dei
    neonati di Gaza. La propaganda antisraeliana tratta questa battaglia degli
    ospedali come un esempio di crudeltà. Ma in effetti crudele e criminale secondo
    la legge internazionale è usare gli ospedali come istallazioni militari; il
    fatto che lo siano li rende obiettivi legittimi dell’azione bellica. Israele
    non vuole coinvolgere i malati, si dà da fare per aiutarne lo sfollamento; ma
    deve entrare in questi complessi che ancora nascondono sottoterra le principali
    istallazioni terroriste.

    La trattativa sugli ostaggi

    Questa guerra, come ho spesso detto, è anche una corsa
    contro il tempo. Israele deve smantellare l’apparato terrorista prima che le
    crescenti pressioni internazionali lo mettano in difficoltà. E i terroristi
    cercano di comprare tempo con gli ostaggi. Ieri è emersa l’offerta di liberare
    50 bambini rapiti in cambio della scarcerazione di donne arrestate e condannate
    e soprattutto di una pausa di cinque giorni nell’offensiva israeliana. Israele
    ha rifiutato, consapevole che una pausa del genere probabilmente significherebbe
    la fine della campagna. Oggi è chiaro che la liberazione degli ostaggi si può
    ottenere solamente aumentando la pressione su Hamas e non sospendendola. Le
    trattative comunque continuano in maniera riservata, probabilmente attraverso
    il Qatar.

    Gli scontri al confine settentrionale

    Sono continuati e aumentati anche i combattimenti al confine
    settentrionale con Hezbollah, che si basano sul concetto di rappresaglia: Hamas
    attacca postazioni militari ma anche case civili di Israele soprattutto con
    razzi anticarro, provocando anche delle vittime. Israele risponde al fuoco con
    l’artiglieria e gli aerei, anche in profondità (ieri si sono visti bombardieri
    israeliani sopra Beirut). Hezbollah si vendica sparando di nuovo verso Israele
    e il ciclo continua, aumentando di intensità e di ritmo. Ci si chiede se non
    possa partire anche una battaglia in quella zona per eliminare la minaccia che
    incombe sui villaggi della Galilea, ormai sotto tiro da un mese. Un’operazione
    come quella del 7 ottobre ripetuta al Nord avrebbe effetti ancora più
    devastanti, perché Hezbollah è assai più forte di Hamas e ha la geografia in
    suo favore, partendo dalle alture. Ma è chiaro che uno scontro del genere
    rischierebbe di provocare una guerra regionale.

     

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